recensioni dischi
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GIONATA MIRAI  "Nelle mani"
   (2017 )

Questo è un disco privato, o per ricorrere ad un titolo che il buon Federico Fiumani assegnò ad un suo album live di parecchi anni fa, un disco confidenziale. Solipsismo che riporta ad una dimensione più intima le digressioni sperimentate sulla dodici corde nell’esordio solista di “Allusioni” (2011), “Nelle mani” insiste sul medesimo registro acustico del debutto, diluvio pungente di note in fingerpicking che restituisce in veste scarna e scheletrica un Gionata Mirai temporaneamente libero dalle plumbee ossessioni del Teatro Degli Orrori come dalla furia sghemba dei Super Elastic Bubble Plastic, in pausa a tempo indeterminato. “Nelle mani” raccoglie undici brani che si disfano delle molte nevrosi narrate nell’elettrica oscurità di pagine crude, porgendo con garbo l’istantanea di un artista il cui spessore si è negli anni affinato e corroborato lungo percorsi creativi disparati. In un turbine che smuove ed evoca, Gionata giostra fra l’aggressività multicolore di “Aleppo” ed il curioso assemblaggio di “Toni di rosso – In treno”, metà cajun, metà blues bislacco, concedendo spazio sia alla rivisitazione di brani tradizionali (il sardo “No potho reposare (a Diosa)”, a suo tempo cavallo di battaglia anche dei Tazenda, e l’irlandese “Pretty girl milking a cow”) che a materiale inedito (l’ondivaga, ipnotica “Ieri”, l’incalzante frenetico di “Fandango”); più Mark Kozelek (“Pan Di Zucchero”) che David Rawlings (“The fisherman”, rilettura di un vecchio brano di Leo Kottke), ma soprattutto innervato di John Renbourn, esplicitamente omaggiato nella cover di “My sweet potato” in chiusura, “Nelle mani” è la non imprevista conferma di un autore ed interprete tanto talentuoso ed ispirato quanto abile nell’evitare l’insidiosa tagliola del manierismo. (Manuel Maverna)