recensioni dischi
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MICHELE PAVANELLO  "Vento caldo"
   (2017 )

Che la nostra società sia decadente è sotto l’occhio di ognuno, ma non tutti immaginano che c’è una schiera di artisti che anelano, attraverso le canzoni, di dar forza ad un’urgente presa di coscienza, per non essere semplicemente delle comparse afflitte e annichilite. Anche Michele Pavanello, con i 5 pezzi di “Vento caldo”, ci esorta ad una urgente rivoluzione: non quella violenta, ma quella che faccia scaturire un nuovo umanesimo, attraverso la rivisitazione delle nostre coscienze cigolanti, piuttosto debilitate da apatia e rassegnazione. Il cantautore rodigino, con questo secondo lavoro, si conferma un narratore idealista e costruttivamente inquieto, che ha saputo dare a questo e.p. la giusta spinta interpretativa, passando dal blues, al rock, al funky a seconda dell’attenzione che doveva essere posta alle tematiche trattate. Comune denominatore di tutte le tracce è la speranza: quella che non va mai persa ma ricercata, soprattutto, nei giovani. A tal proposito, è esplicativo sia il brano che il video di “La luce siamo noi”, un soffice blues che trasuda fascino per la delicatezza che emana. Pavanello, però, lascia spazio anche al pop-rock di “La storia non conta”, arrangiato in maniera convincente con un tocco di tastiere seventies. Si sa che “In un attimo” può succedere di tutto: persino che il protagonista, di questa splendida ballata, sia pervaso da una marea di stati d’animo, passando dall’istinto suicida alla tentazione di abbandonare presto l’idea per tornare a recitare la sua parte nel mondo. C’è poco da far melina: la rivoluzione è d’obbligo per una esigenza di sopravvivenza e per ambire ad un nuovo Rinascimento. E proprio per questo che i toni si fanno, giustamente, più decisi con “Senza chiedermi perché”, un’evidente filippica verso la razza umana, sempre pronta a sentirsi giudice consacrata al servizio della verità piuttosto che caldeggiare la comprensione ed il rispetto. “Vento caldo” non contiene ritmiche che fan propriamente scuotere i glutei, però la conclusiva “Vivere nel mondo a fianco” se la gioca con un brillante funky-rock, sorretto dalla sua voce profonda e poetica. Benché noterete che il messaggio globale di Pavanello sia incentrato fortemente su quello cristiano, egli non chiede che sia obbligatorio ostentare una religione: ma una fede sì, di qualsiasi provenienza. Purché contenga una fede che contempli un restauro contemplativo, che non faccia più soffiare la bora gelida addosso al prossimo ma gli rechi il tepore di uno scirocco d’amore: un vento caldo, appunto. (Max Casali)