GENESIS "A trick of the tail"
(1976 )
Febbraio 1976: stormi di giornalisti specializzati, neri come uccellacci del malaugurio, annunciavano la prossima fine dei Genesis a partire da questo album. Del resto se n’era andato dal gruppo un certo Peter Gabriel, non so se rendo l’idea… Con il senno di poi, quasi trent’anni dopo possiamo dire che i becchini dei Genesis dovevano ancora allungare il collo per parecchi anni, e non solo grazie alle famigerate “canzonette di Phil Collins”, che negli anni ’80 tennero in vita, un po’ svuotato, il prestigioso marchio, ma piuttosto grazie alla presenza tra i superstiti di due musicisti seri, anche se non molto carismatici, come Tony Banks e Steve Hackett. A Phil Collins, ancora ben lontano dall’imporre il suo stile “easy listening”, va però il grande merito di aver costituito la soluzione al problema che sembrava più insolubile: e ora chi canta ? Sempre con il senno di poi si può pensare: ma come hanno fatto a non accorgersi che una voce più “gabrieliana” di quella di Peter Gabriel ce l’avevano in casa? (peraltro Phil aveva già all’attivo qualche piccolo precedente vocale). Sia come sia, la soluzione più naturale fu poi quella attuata in “A trick of the tail” che dal punto di vista dell’inventiva melodica mantiene i Genesis su quei livelli di fantasia straripante, a tratti quasi barocca, che aveva incantato nei primi anni ’70. Caso mai sono i testi a perdere un po’ del loro fascino surreale, ed è qui che si sente l’assenza di Peter Gabriel. Ma l’imprevisto è in agguato e Mike Rutherford, che è un po’ il “manovale” del gruppo, inventa non si sa come lo “Squonk”, mostriciattolo che piange continuamente per la sua bruttezza ed è perennemente inseguito dai cacciatori, ma appena questi lo raggiungono si dissolve in lacrime. Roba degna delle migliori favole gabrieliane. “Squonk” è il pezzo decisamente più rock, con un grande Phil Collins alla batteria; altri brani veloci, dalla ritmica un po’ più complessa, sono “Robbery assault and battery”, con Banks che sfoggia due assoli di sintetizzatore da urlo, e “Dance on a volcano”, dal finale tiratissimo e così moderno da non sembrare roba del ’76. Ma il nocciolo è costituito da composizioni di grande dolcezza, come “Entangled”, un trionfo di chitarre acustiche che gradualmente lasciano lo spazio ad un poderoso finale “corale” (è il mellotron di Tony Banks che fa queste magie). Bellissima, di una tristezza oserei dire ciajkovskiana è “Mad man moon”, tipica composizione alla Banks, con inizio sommesso, ponte centrale sinfonico e ripresa del tema iniziale. Struttura simile ha anche “Ripples”, con un inconsueto (per i Genesis) ritornello orecchiabile; a dare i brividi è però il ponte centrale, strumentale. Ottima anche “A trick of the tail”, ballata un po’ meno acustica delle precedenti. Viene inaugurata anche l’usanza genesiana di fare una specie di riepilogo finale dei principali motivi. Qui è “Los endos” a svolgere la funzione di collage strumentale di temi tratti da “Dance on a volcano” e “Squonk”, legati da un connettivo ritmico tiratissimo e trascinante (Phil Collins in questo frangente furoreggia). Difficile se non impossibile trovare un punto debole: il funerale dei Genesis è rimandato a data da definire. (Luca "Grasshopper" Lapini)