recensioni dischi
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AIRPORTMAN  "Dust & storm"
   (2017 )

Kansas, Colorado, Oklahoma, Texas; dal 1931 al 1939, questi quattro stati centrali degli U.S.A. furono martoriati da continue tempeste di sabbia, che distrussero le coltivazioni, resero 500 mila abitanti senza casa e provocarono malattie e spopolamento. Questo scenario è stato di spunto per il nuovo lavoro dei prolifici Airportman. Il progetto, da sempre dedito alla creazione di ambientazioni sonore di ampio respiro, in cui perdersi col pensiero, stavolta traduce in suoni i vasti paesaggi e la siccità patita in quegli anni, difatti l'arrangiamento, per quanto ricco di componenti, si presenta sempre asciutto. Gli otto brani-capitoli che compongono l'album "Dust & storm" sono un unico corpus, e non ha senso fare una disamina a compartimenti stagni di ogni brano. Elemento protagonista è la chitarra acustica, che ritorna in tutti i capitoli come raccordo narrativo, e spesso in quelle zone ci sono dei cori ariosi, elaborati quasi come se provenissero da un vocoder. Ci sono diverse rappresentazioni del vento, dapprima arioso, poi c'è la simulazione della sabbia violenta, realizzata tramite veloci rumori elettronici, più tardi il vento è dedotto dallo sbattere delle fronde degli alberi, ottenuto probabilmente tramite l'utilizzo percussivo dell'archetto su di un violoncello. L'effetto è quello che si percepisce nelle prime polverose scene terrestri di ''Interstellar''. Ci sono alcune suggestioni che emergono una sola volta, come in "2", dove lo spazio maggiore lo prende un organo dai registri tenui e chiusi, come quello di una piccola cappella. In "3" i suoni sembrano imitare il funzionamento di un motore di macchinario senza carena protettiva (quindi molto rumoroso). In "4" il finale è lasciato a un banjo e ad una voce narrante che parla dei problemi causati da questa tempesta, divenuta ormai insostenibile. Altri elementi che compaiono sono note di vibrafono e glockenspiel, o chitarre elettriche con effetto delay à la Brian Eno. Le varie fasi musicali si alternano senza soluzione di continuità, sfumando le tracce e facendo comparire le successive, ed è come sfogliare le pagine di un libro. Un libro che si può leggere ad occhi chiusi, quando si vogliono immaginare quegli ampi spazi americani, che gli Airportman sono riusciti a rendere egregiamente in musica. (Gilberto Ongaro)