FRANCO BATTIATO "Dieci stratagemmi"
(2004 )
Premessa indiscutibile, con relativa toccata di palle: prima o poi “bisognerà oltrepassare la porta dello spavento supremo”, come suggerisce con la sua voce catatonica il vecchio Manlio Sgalambro, che da buon filosofo affronta la questione senza battere ciglio. Non è detto che al di là ci sia un sogno dolce e liederistico come Battiato immagina: Guccini sull’argomento è terribilmente prosaico (“poi infine tutti avremo due metri di terreno”). In ogni caso meglio non forzare il passaggio attraverso questa porta, così simile alle leggendarie Porte della percezione di William Blake dalle quali presero il nome i Doors, e si sa come è andato a finire l’ultimo tentativo di Jim Morrison di oltrepassarle. Meglio restare al di qua e non spenzolarsi troppo sul baratro: ora ci dà una mano anche lo stratega Battiato, ormai un po’ filosofo anche lui a forza di frequentare Sgalambro. Ci fornisce una decina di stratagemmi nuovi nuovi, allo scopo di “attraversare il mare per ingannare il cielo” che più o meno, traducendo dal linguaggio aulico battiatiano a quello terra terra, significa andare in culo ad un mondo che fa sempre più schifo, sempre più impregnato di “Odore di polvere da sparo”, che avrà anche un suo fascino, come dicono i nuovi “esteti della guerra” ma per quanto mi riguarda rimane sempre un puzzo immondo. Questo disco è una specie di vademecum per la traversata del deserto, dove il deserto è il mondo attuale, e non è un caso che il messaggio più toccante, nella bellissima preghiera “Conforto alla vita”, sia alla fine l’immortale “Ha da passa’ ‘a nuttata” di Eduardo, che in linguaggio battiatiano diventa “La sera insegna ad attendere il giorno che arriva come sempre a chiudere i passaggi della notte”. “Resistere, resistere, resistere!” come diceva un celebre magistrato: la “Fortezza Bastiani” non è un avamposto verso l’assurdo come nel romanzo di Buzzati, ma rappresenta ciò che è ancora sano e integro, e va difesa coi denti alla faccia dei “bugiardi e imbonitori” che “l’assediano con violenze degne di Tamerlano” (e qui il nemico è così ben delineato che, almeno per quanto riguarda l’Italia, possiamo dargli anche nome e cognome). “Fortezza Bastiani” si avvale di una musica dolcissima, che ben si adatta a descrivere qualcosa di fragile e prezioso, da proteggere assolutamente. Non mancano gli incubi, degni figli di “Shock in my town”. “Ermeneutica”, il più riuscito, fa emergere discorsi apocalittici ma realistici sulla situazione politica da un tragico magma di suoni, potente quasi come un hard rock, ma interotto da sincopi agghiaccianti in cui tastiere fredde come il marmo ripropongono lo scarno motivo che accompagna le prime parole: “Eiacula precocemente l’Impero…”. Vero capolavoro visionario. Come atmosfera fa il paio con “23 coppie di cromosomi”, forse un po’ meno intenso, ma anch’esso tremendo: un Battiato in formato speaker televisivo sgrana discorsi allucinati su una base di assurdi e scombinati suoni elettronici, che poi trovano sfogo in una nenia araba da muezzin. Ma al di qua della famosa Porta per fortuna non ci sono solo incubi e apocalissi: c’è anche una lotta interna magari dirompente, ma naturale, quella “Tra sesso e castità”, a cui è dedicata una delle canzoni più ispirate del disco. Gli esiti di questa lotta, insieme alla necessità di vivere “contro”, resistendo, possono portare facilmente alla solitudine, ma Battiato ha uno stratagemma anche per questa: “Le aquile non volano a stormi”, cullandoci con soffici armonie orientali, ci dà un bel ginseng per affrontare meglio fenomeni piuttosto spiacevoli come i rimpianti e i danni del tempo. Ormai dire che questo autore non finisce mai di stupirci è quasi banale: diciamo che ogni suo disco è una bella iniezone di fosforo, ma molto più gradevole dell’olio di fegato di merluzzo. (Luca "Grasshopper" Lapini)