KING AYISOBA "1000 can die"
(2017 )
Parlare di musica etnica del Ghana in Italia non è semplice, ma in realtà non lo è neppure lì. L'operazione che ha compiuto King Ayisoba ha dell'eroico. In Ghana oggi il genere di musica che va di moda, specie nella sua città (Accra), è il cosiddetto hiplife, una sorta di hip hop molto allegro e spensierato, con suoni elettronici e ritmi abbastanza comprensibili anche a un europeo. Detta così è però una volgare semplificazione solo per farsi capire qui, in realtà l'hiplife ha origine negli anni '50, ma non approfondiamo la cosa perché in realtà Ayisoba ha intrapreso tutt'altra strada: in controtendenza rispetto al mainstream, ha recuperato gli strumenti della tradizione (quindi folk), e nonostante questo si è saputo imporre nella scena nazionale: per rendersi conto, è come se nella classifica italiana, tra Emma Marrone e Luciano Ligabue, comparisse Nunzio Cumpà armato di mandolino, triccheballacche e putipù. Probabilmente il carisma e la forza che ha trovato Ayisoba è tutta spirituale: la musica che propone affonda le radici nella terra e nella storia del Ghana, e quindi deve aver colpito la memoria collettiva. L'album che affrontiamo, "1000 Can Die", contiene 9 brani, ognuno dei quali è una storia e un pezzo di vita. Ayisoba suona in quasi tutte le tracce il kologo, uno strumento monocorde affine al liuto, ricavato dalla zucca gourd. Il kologo, come egli afferma in un video, è la sua ragione di vita, e tale intensità si percepisce nello scorrere dei brani, nella sua voce che trasmette il suo vissuto. Qualche sprazzo di elettronica ogni tanto c'è, come nella titletrack e in "Anka yen Tu Kwai" dove c'è un ritmo regolare quasi dance e un basso trascinante, ma gli strumenti al ''vero'' centro dell'attenzione sono le percussioni, alle quali sono attribuiti significati simbolici molto sentiti. Sono presenti spesso delle poliritmie complesse come in "Africa needs Africa", e in "Yalma Wage Danga" si sente il dundun drum, un tamburo portato a tracolla e percosso con un bastone. L'album presenta innumerevoli ospiti, tra cui il sassofonista nigeriano Orlando Julius che compare in "Dapagara", e il rapper M3nsa in "1000 can die". In "Wine Lange" invece c'è una viola monocorde ("gonju-fiddle") che suona quasi come un fischio, e rievoca un'atmosfera antica. "Grandfather song" invece è un brano acustico, senza percussioni e con il solo kologo. Probabilmente è dedicata al nonno di Ayisoba, anch'egli suonatore di kologo "ma solo in casa", come spiega il musicista, che afferma che il nonno possedeva capacità sciamaniche. Checché ne pensiamo, la convinzione e l'entusiasmo popolare si avvertono nei numerosi momenti corali, che fanno comprendere quanto la musica sia rito collettivo e di socialità, oltre che espressione artistica. Ayisoba ha compiuto tour internazionali, anche in Europa, e l'auspicio è che l'ascoltatore non si ponga con l'approccio del turista che sente delle cose esotiche, ma che tenti di apprenderne lo spirito, che può essere d'esempio per chi è alla ricerca delle proprie origini, anche culturali e musicali. (Gilberto Ongaro)