recensioni dischi
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IL VUOTO ELETTRICO  "Traum"
   (2017 )

I lombardi Il Vuoto Elettrico escono con “Traum”, loro secondo album, dopo l’esordio “Virale” del 2015. Se nell’esordio il tema trattato dal concept era il presente e la paura come la più grave malattia dell’uomo, adesso la band affronta un altro capitolo: la vita, lo scorrere inesorabile del tempo dalla nascita alla morte. Temi di un certo livello che emergono con una drammaticità non solo testuale ma musicale. Nelle intenzioni dela band c’è il progetto di comporre una trilogia legata all’uomo ed ai suoi drammi esistenziali. Nelle 9 tracce proposte Davide Armanini (Chitarre), Giuseppe Ventagliò (Basso, Synth, Backing vocal), Paolo Topa (Voce, Trilobit, Theremin, Rumori), Mauro Mazzola (Chitarre) e Luciano Finazzi (Batteria) esprimono l’inquietudine e il male di vivere, con sonorità dure, nevrotiche e rabbiose. “Traum” è un appartamento in cui si entra “In Door”: è la nascita, momento in cui “respiri, apri gli occhi”, “ti senti dire benvenuto! Ti stavo aspettando” ed è subito evidente l’ambiente lugubre e cupo. Di fronte solo il “Corridoio 41”, spazio vuoto tra le pareti e porte di ingresso alle stanze vicine. Porte chiuse che nascondono tutte le esperienze umane. Un corridoio che trasmette ansia, voglia di gridare, di aprire una per una le porte delle varie stanze, ma la paura di scoprire cosa esse celino crea molta agitazione. Brano urlato a squarciagola, specialmente nel ritornello (“Scappa!”), sotto un rock ruvido, con grande sintonia basso batteria e chitarre nevrotiche a fare da sfondo a rumori da film horror. Quattro minuti di delirio allo stato puro, tra voci che riempiono lo spazio vuoto del corridoio. Si prende il coraggio di entrare nella “Camera Di Specchi” tra una batteria che suona frenetica, un basso galoppante, una voce che si fa sempre più arrabbiata e inquietante e ben supportata da chitarre disturbate. Si passa alle “Lame In Soffitta” e, dopo un inizio arrabbiato, le sonorità sono più distese anche se non smettono mai di impaurire l’ascoltatore, complice la voce urlata e un sound grezzo che stringe l’occhio al grunge. E’ tempo di farsi un “Bagno Di Vita”, immergersi nella vasca e lavarsi la coscienza e “la testa funesta”. Le chitarre richiamano pensieri che si affollano mentre l’accoppiata basso-batteria è implacabile nel seguire il protagonista lavarsi dalle sozzure della vita. Dal bagno si esce fuori ma, nonostante si sia all’aperto, “Il Giardino Dei Segreti” porta con sé tutte le perversioni dell’animo. Qui si consuma un truce pasto a base di “muscolo cardiaco”. Denti che affondano nel cuore e lo strappano pezzo dopo pezzo. E’ questo il destino dell’animo umano che sperimenta tutte le asprezze che la vita gli riserva. Le paure conducono a nascondersi “Sotto Il Tavolo In Cucina”, lontani dalla “maledetta festa”. Un grido di dolore si eleva sul male di vivere, quando si ha “la testa schiacciata sul pavimento” e “sullo schermo le immagini di mosche che divorano bambini”. Non finiscono le sorprese perché “Un Pitone In Sala D’Aspetto” è l’ultimo ostacolo da superare prima che la vita porti all’uscita di questa casa degli orrori con “Out Door”, metafora della morte forse attesa e desiderata, fine di una vita contrassegnata da malesseri che, stanza dopo stanza, straziano l’animo umano mentre il tempo è il sadico compagno che conduce alla porta l’ascoltatore alla fine di un lavoro duro, schietto, atroce e spietatamente sincero. Un disco spigoloso e rabbioso che, al di là dei contenuti certamente non rilassanti, suona grintoso, senza un attimo di tregua nei quasi 35 minuti che lo caratterizzano. Non vi sono pause, momenti di relax, ma solo energia e un sound che scorrono imperterriti come il tempo. (Angelo Torre)