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SULA VENTREBIANCO  "Più niente"
   (2017 )

Giunti al decimo anno di attività, i Sula Ventrebianco pubblicano il 10 marzo il loro quarto lavoro, "Più niente", un concept album sul consumarsi della vita, concetto fatto vibrare da una musica agitata e intrisa di tensione drammatica. L'Lp dai curiosi titoli inizia con "Yellowstone", un intro costituito da un fischio e strani pattern. In "Saleinsogno" emerge la voce acida su uno shuffle rock dove le pennate sono accompagnate da cori di "uuh". "Diamante" è un pezzo dove l'arrangiamento è costituito da velocissimi sedicesimi suonati dall'inizio alla fine, e fa pensare allo space rock. Se tale genere non è pertinente, perché qui si gravita tra l'alternative inglese e il grunge americano, l'evocazione dello spazio lo è, infatti il brano successivo si chiama "Wormhole", e nonostante sia ancora più aggressivo dei precedenti, a metà c'è un'inaspettata variazione suggestiva. Nello spazio torneremo ancora all'interno dell'album, dove c'è uno strumentale diviso in due parti inframmezzate tra le canzoni: le due parti si intitolano "Merak" e "Dubhe", entrambi nomi di stelle appartenenti all'Orsa Maggiore ed esempi dell'energia sprigionata dalla band. In "Una che non resta" il testo recita: "Non dirmi mai di essere lento", e "aspetto che il buio diventi mio amico"; in generale i testi mostrano spesso due filoni di scrittura, uno difensivo-aggressivo verso un interlocutore, e un altro più evocativo di situazioni oniriche spesso e volentieri incongruenti. "L'ade a te" si rivela il brano più fantasioso: un 6/8 che riporta frasi bollenti come "Qua la verità ti ammazzerà", "essere speciali non è di moda", "sentirmi in pace col mondo non mi rilasserà", "dovevo nascere prima, quando il rock era rock", cantate da una voce che diventa particolarmente graffiante. C'è una pausa calma dove compare il violino e dei cori crimsoniani. Altro brano decisamente interessante è "Arkam Asylum", dove un muro di fiamme batteria-basso-chitarra si abbatte sull'ascoltatore e una voce folle e minacciosa dice: "Ragazzino cos'hai combinato? (...) ehi tu, guarda a terra, non alzare più la testa, oggi decido io cosa si mangia". Il brano sviluppa delle armonie da incubo, e una corsa della batteria che sembra una di quelle dei primi Muse, così come il basso effettato del brano successivo: dallo spazio e dalla follia si passa alla chimica con "Metionina". Il testo disorienta: "Troppe domande a bucarmi il cervello, tornerei piccolo come non mai / troppe domande a farmi da madre, tornerei grande come non mai". La musica, sempre distorta e potente, ha qui un andamento ritmico più regolare, mentre "Attraverso" è in tempo dispari (5/4), e anche qui l'influenza del gruppo di Bellamy si fa sentire, però viene personalizzata da una voce in falsetto che tende al lirico e inserti di violino. Le parole di "Resti" ancora una volta mostra delle volute contraddizioni: "Chi mi distruggerà? Io sono invincibile, nel mio corpo scorrono delle rocce nere che si infrangono sulla mia mente fragile, ma combatterò per te fino alla fine". La contraddizione tra il definirsi invincibile e la fragilità della mente rappresenta il naturale desiderio di sopravvivenza della vita, anche di fronte all'ineluttabile destino di ogni cosa. "Batticarne" è un grunge dal testo allucinante: "Fammi fermare un po', (...) mi dici come fai, tu rimani morbida (...) ora puoi piangere, non basta esistere", sostenuto da riff portentosi. Il disco è chiuso a sorpresa dal lento "Amore e odio" che sembra provenire da un altro album, e questo mostra la duttilità del gruppo. Torna il violino, stavolta da protagonista. "Ho visto ballar l'amore con l'odio su di un grande cuore spietato come il ghiaccio". Il testo inizia così, ma finisce così: "Lo spazio teme di esser troppo senza di te, ma non ce n'è tanto". L'invito è andare a scoprire cosa accade in mezzo, così come ascoltare attentamente tutte queste canzoni, che non sono mai scontate e mai ripetitive, nonostante siano ben sedici. Con "Più niente" i Sula Ventrebianco si confermano una realtà molto interessante e originale nel panorama italiano che ultimamente, e per fortuna, si sta affollando di nuovo di concept album, della voglia di proporre qualcosa di ben costruito e significativo, ed a volte improntato sullo story-telling. (Gilberto Ongaro)