recensioni dischi
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5TIMESZERO  "Øk (Zero k)"
   (2017 )

Arrivano dalla Germania i 5TimesZero con un album che si presenta glaciale. Il suo titolo "Øk" indica lo zero Kelvin, cioè la temperatura più bassa possibile in un sistema termodinamico (-273,15 °C). Tanto freddo è ben accetto nel genere che il quintetto propone, una dark dance portatrice dei tratti distintivi dell'elettronica mitteleuropea: battiti secchi di kick (tunz tunz, senza offesa), archi di tastiere che riempiono buona parte dell'armonia, suono di basso quadrato, atteggiamento quasi robotico che si avverte soprattutto nel brano "Naked", anche se il ritornello crea un'apertura armonica. Il basso quasi sempre è regolare sui battiti, se non in rare eccezioni in cui è sincopato come in "Instrument". Scopo principale di questa musica è senz'altro il ballo, che risulta particolarmente scatenato laddove i 5TimesZero si rifanno un po' al big beat anni '90 dei Crystal Method e dei Prodigy; questo si avverte in "My side" e "Can I balize you?". Ogni tanto il sapore si fa più eurodance come in "Don't push me", dove nell'arrangiamento compare il mitico suono "techno brass", quello celebratissimo nei primi anni '00. Tale direzione in "Higher smile" ricorda addirittura brani della dance italiana di Prezioso e GGDAG. Ci sono alcuni ammiccamenti all'industrial, con dei campioni di chitarra distorta presenti in "Frozen" e nella trascinante "State of being", condita da cori di "HEY!" L'intenzione industrial è presente anche nel brano dal testo pericoloso "Pyromanic", che presenta pad elettronici utilizzati anche dai Rammstein, e date le parole infuocate può essere un volontario rimando alla band teutonica più trasgressiva, che gridava "Feuer frei!". Ci sono anche dei moderati à la Depeche Mode come "Art of living", mentre "Empty floor" inizia con il suono di un vinile e presenta una strana ritmica, dovuta dalla somma di una batteria realistica a un rullante elettronico che coprono secondo, terzo e quarto battito - difficile da ballare così! Particolarmente interessante è il brano al centro dell'album cantato in tedesco, "Augen der Grobstadt", che forse proprio per la lingua risulta il più efficace e coinvolgente. La lingua di Goethe si sposa bene con l'elettronica, in quanto i ritmi serrati potenziano la presenza abbondante di consonanti, e qui i suoni di tastiera creano una certa tensione nella narrazione musicale che è irresistibile. Nel complesso l'album ascoltato per intero può risultare un po' ripetitivo, ma singolarmente i pezzi sono tutti forti e alcuni particolarmente divertenti, e potenziali hit da dancefloor. (Gilberto Ongaro)