recensioni dischi
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BRUCKE  "Yeti's cave"
   (2017 )

Da Livorno ci arriva una gradita novità psichedelica. Quattro ragazzi decidono di incidere un Ep in presa diretta, e il risultato è piuttosto interessante. I Brücke propongono "Yeti's Cave", composto da cinque pezzi per lo più strumentali, talvolta accompagnati da una voce recitante che ha una funzione descrittiva, e a volte invece solamente d'effetto, posta in lontananza e in maniera da non essere intelligibile, talvolta modificata con particolari effetti tipo il "tubo di ferro". Saltano all'occhio i bizzarri titoli, scelti forse per scherzo. "Annaciccia" inizia con un piano elettrico e delle note di chitarra che gradualmente si fondono in un unico flusso, trasportandoci in un'ambientazione post-apocalittica. "Prociutto" è un titolo che deve aver smarrito la esse nella psichedelìa ottenuta con lo slide di stampo floydiano, che però incontra le note con delay più tipiche del post-rock. In primo piano batteria e groove di basso. La seconda metà del brano è più agitata, mentre l'acuto di chitarra continua a scappare, e nel finale un basso sintetico fa vibrare i padiglioni auricolari. L'ipnosi continua con il giro di basso di "Ovomoltino", dove nel trip sopraggiungono dei fiati (tromba, sax e trombone) che sperimentano i loro timbri su note lunghe, che ricordano le dissonanze sparse in "National Anthem" dei Radiohead. Quando il brano sembra fermarsi, in realtà viene prolungata una coda elettrica, modulata in varie maniere. Continuano i titoli improbabili come il giovanile "Carrarmatozzi", dove è presente un'elettronica che ricorda le prime esplorazioni di Battiato, campane che sembrano rifarsi a ''High Hopes'' dei Pink Floyd, molti reverse e suoni di pianoforte suonato direttamente sulle corde, per poi concludersi con "Tebe", il pezzo più marcatamente post rock, che inizia con un tema ridondante di chitarra, raggiunge un'altra stazione psichedelica che però, nel bel mezzo, viene a sorpresa risvegliata da un ritmo forte di batteria e dalla chitarra distorta che esegue una sequenza di accordi di cui uno parecchio straniante. La chiusura è affidata ad un'improvvisazione di clarinetto che opta per uno strano gusto a metà tra il jazz e la musica klezmer, lasciando l'ascoltatore stupito e in attesa febbrile di sentire di più. Questa ''caverna dello yeti'' è un posto affascinante ma ancora piccolo, e ci auguriamo che i Brücke proseguano le esplorazioni ricercando ulteriori soluzioni stilistiche. (Gilberto Ongaro)