MONICA SHANNON "Ali"
(2017 )
Ricordate le atmosfere dilatate della musica di Angunn? Si possono ritrovare in una veste meno etnica e più pop nelle scelte eleganti di Monica Shannon, giunta al suo secondo lavoro solista, "Ali", dopo la composizione di colonne sonore per commedie teatrali e molti viaggi. Nei nove brani che compongono l'album, quasi sempre protagonista è il pianoforte, anche se a volte affiancato da una chitarra elettrica distorta, che però non invade mai il campo, semmai lo arricchisce spesso con suoni di delay e feedback. Nei testi si parla sempre d'amore, nei suoi aspetti legati al fluire delle esperienze di vita più che al lato squisitamente sentimentale. Tale approccio è ben rappresentato dalla musica, sempre molto suggestiva e a volte tenera, ma che non entra mai nel romanticismo più mieloso. Influenza dichiarata dall'artista è quella della musica celtica irlandese, ed in effetti ogni tanto appare come nel fiato di "Light" e nella melodia vocale di "Boundless space"; tuttavia in questo Lp, l'approccio non sguaiato verso i sentimenti e l'equilibrio sonoro ricordano più scelte giapponesi. Non a caso tra le due cover scelte, una è "Forbidden colours" di Ryuichi Sakamoto, dove la particolare scelta armonica con cui si esegue il tema principale, rende questa versione ancora più nipponica rispetto all'originale (il famoso Oriente visto dagli occhi di un occidentale). La voce di Monica si trova bene in questa aria. A metà parte una batteria lounge, e l'arrangiamento viene tessuto da archi di tastiera assieme al glockenspiel e note di chitarra elettrica, creando una colonna sonora che sarebbe perfetta per un anime. Anche i brani originali di Monica hanno questo sapore: "The answer" ha sonorità vaporwave, e "Not so far from love", come vuole il testo, è un pop molto speranzoso, con un suono di synth che valorizza il ritornello, ci sono strings che danno serenità. Nella già citata "Light", un basso elettronico costruisce un synth pop che poi nel secondo pre-ritornello marca gli accenti in levare un po' come gli Ace of Base nel loro pezzo più noto, però con un suono elettronico tagliente. "Butterflies in the garden" è il brano più evocativo: con dei cembali natalizi e un ticchettio di sveglia ci introduce a un clima disteso e intrigante, ottenuto con accordi di pianoforte e chitarra acustica estesi (di settima e nona), che in seguito ospitano una viola e dei crescendo inaspettati. "Something you should know" è un altro esempio di pop raffinato, qui reso swing dagli accenti e dalla batteria suonata con le spazzole, e dagli ottoni che arricchiscono l'arrangiamento. L'album si chiude con la seconda cover, "L'isola delle fate" di Stefano Pulga (autore che già in passato ha collaborato con l'artista), qui resa chillout dai suoni di tastiere. "Ti accarezzerò come il vento accarezza la vita, ti racconterò quanto ho viaggiato": questa frase del brano di chiusura descrive compiutamente l'intenzione che emerge da questo album. Una musica gentile che fa viaggiare parecchio, e che ripone le ricerche musicali in quella corrente dedita al benessere così florida negli anni '90 in zona new age. E che lo raggiunge, il benessere. (Gilberto Ongaro)