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VIRGINIA WATERS  "Skinchanger"
   (2017 )

Il rock seminale, catturato nella sua energia più primordiale e nobile, è esplorato con estrema qualità compositiva nell’album di debutto dei Virginia Waters. I Sonic Youth si fondono con i Pixies, il grunge con melodie estremamente orecchiabili, e la voce di Maria Teresa Tanzilli splende per tutto il corso del disco.

“Skinchanger” – “colui che cambia pelle” – si apre in modo brillante con la potente “I’ve Killed My Power Animals”, dove si sente la fortissima influenza delle Sleater-Kinney e di un certo alternative rock con sfumature punk che percorre tutti gli anni ’90 ed è entrato prepotentemente nel nuovo millennio diventando sempre più pop e meno grezzo – ma non per questo di meno valore. “Queen of the Rush” dà estremo rilievo a chitarra e basso, mentre la cantante segue una linea tutta sua a metà tra l’arrabbiato e l’emozionato, in un quadro più vicino ai Cranberries che ai Breeders. “Motionless” e “Behind” rappresentano due momenti cupi, riflessivi, estremamente emozionali, che di nuovo dimostrano quanto profonda e bella sia la voce della Tanzilli, e la batteria riesce a essere al tempo stesso convinta e misurata nelle sue potenti fiammate. Alla carica di “Behind” fa seguito la dolce “Skinchanger”, che chiude la prima metà dell’album con un rock malinconico à la Antlers e una interpretazione vocale splendida.

“Until the Last Drop” elettrizza nuovamente l’atmosfera. Le distorsioni vocali di sottofondo si mescolano alla voce principale, anch’essa distorta, e le chitarre paiono bruciare nel procedere del brano. Il pezzo, di soli due minuti e venti secondi, è una esplosione delirante di urla, rabbia e malinconia gridata in modo sprezzante e convinto: strepitoso. “Rabbit Snare” esalta le qualità tecniche degli altri membri del gruppo: la chitarra di Andrea Mattiucci e il basso di Giulio Catarinelli flirtano tra loro, e il batterista Andrea Spigarelli dimostra quanto bene sappia gestire sia brani devastanti come il precedente sia brani più lenti come questo. Da notare la collaborazione del grande Mario Businelli in questo brano – per una serie di sessioni di violoncello – come anche in “Behind” e nella conclusiva “Naked Lips”.

Andrea Tocci impreziosisce la bellissima “A Postcard from Drink and Drive”, dove la voce di lui si unisce splendidamente a quella della Tanzilli, in una atmosfera che ricorda persino alcuni momenti del Leonard Cohen di fine anni ’80. Il ritornello – un’apertura melodica impressionante – resta in testa già dal primo ascolto. Applausi. L’incipit della successiva “One More Step” ricorda in qualche modo – anche se solo per alcuni secondi – la sublime “New Person, Same Old Mistakes” dei Tame Impala dall’album “Currents” (2015), resa celebre anche dalla (più che discreta) cover che ne ha fatto Rihanna sul suo “ANTI” dello scorso anno. L’atmosfera è quella dei grandi Tame: psichedelia fusa ad aggressività, voce sognante e rarefatta. Ma qui ha la meglio il lato punk; dopo poco la canzone vira verso un mood decisamente più alternative rock ‘90s e vien voglia di gridare seguendo il ritornello, melodico e intrigante. La conclusiva “Naked Lips” è una dolcissima riflessione accompagnata da una meravigliosa chitarra acustica, e il violoncello di Businelli splende: si vola. Il finale diventa un lamento psichedelico che lascia tanto interesse verso questa band, capace di regalare un disco di debutto ricco di ottime canzoni e di idee originali. (Samuele Conficoni)