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VIRIDANSE  "Hansel, Gretel e la strega cannibale"
   (2017 )

Eccolo il nuovo Viridanse! Ad un solo anno di distanza dall’omonimo lavoro che aveva segnato un inaspettato ritorno discografico, i Viridanse pubblicano un coraggioso concept, “Hansel, Gretel e la strega cannibale”. Con l’unica eccezione di Erik Nalin, che sostituisce ai tamburi Fabrizio Calabrese, i Viridanse 2.0 sono la medesima band che suona insieme dal 2014: Flavio Gemma al basso, Enrico Ferraris alle chitarre, Gianluca Piscitello alla voce e Giancarlo Sansone alle tastiere. Anticipato dalla title track, il lavoro si presenta immediatamente forte, difficile e non disposto a facili compromessi. Le musiche di Flavio Gemma portano, fin dai primi secondi, un sound potente, energico e chitarristico, in cui le liriche di Gianluca Piscitello si sposano alla perfezione. Il video registrato presso il teatro comunale di Alessandria è il giusto e suggestivo incipit del futuro disco: le immagini caotiche che provano a rincorrere le musiche, insieme alla recitazione di Sara Siri e Francesca Mantelli, rappresentano un perfetto aperitivo violento. È hard rock scritto cinquanta anni dopo i classici; è grunge spontaneo come se ci trovassimo catapultati agli inizi degli anni ’90; sarebbe proto punk condito di tastiere se ci trovassimo nel 1970 al tempo dei primi Stooges. Se già eravate rimasti shockati da “Viridanse”, certamente rimarrete sconvolti dal brano d’apertura e dall’album tutto. L’antico ricordo di una band che suonava wave e che ebbe l’indiscusso merito di avere portato in alto un genere, fin dai primi anni ’80, rimane proprio questo, solo un ricordo. Bello, ineliminabile (e, aggiungiamo, sempre riascoltabile!), ma sempre e solo un ricordo. Dalle parole spese con il leader bassista Gemma, capimmo, già un anno fa, che il successore di “Viridanse” non poteva tornare indietro, ingentilendo le musiche in luogo di qualche ascolto radiofonico o commerciale in più, ma solo inasprire ulteriormente il sound. “Tutto ciò che ignoto sai” è il monito d’apertura di “Arkham”, brano in cui l’elemento trascinante è la voce potente di Piscitello che sembra fare a pugni con il resto dei compagni per dimostrare tutto il suo virtuosismo, mentre le tastiere sul finale sono quell’elemento in più per dare una non banale interruzione melodica. Ancora tastiere acide per aprire “Alle montagne della follia” (uno dei pezzi meno “violenti” del lavoro), e con “Scomunica” le chitarre creano un suadente e alienante momento. Scorrono le canzoni per raccontare, con questo concept, il declino della civiltà attuale e gli aspetti devastanti della società in cui viviamo. Un tema evidentemente così sentito dal gruppo che non poteva esaurirsi in pochi minuti o in una sola traccia, per definirsi appieno all’interno dei sette brani. “Aria” (se possibile) è ancora più evocativa delle altre e mette in risalto la muscolosa batteria di Nalin; con “Il grande freddo” Enrico Ferraris sembra trasformarsi una volta di più nel compianto Ron Ashton, e con la conclusiva “Madre terra” arriva il miglior congedo attraverso un brano che pare rallentare i ritmi forsennati, ingentilendo il clima cupo dell’intero lavoro. Ancora indovinato il booklet, in cui i disegni di Antonio De Nardis ed AEno non sono che la prolunga artistica di un album che ha anche la pretesa di andare ben oltre il discorso musicale. Un disco da ascoltare ad alto volume (come suggerito dalla band), e noi aggiungiamo nel rispetto del vicinato. Perché questo è un lavoro che sa stordire. (Gianmario Mattacheo)