recensioni dischi
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PRIESTS  "Nothing feels natural"
   (2017 )

“Nothing feels natural” è l’esordio sulla lunga distanza per i Priests, quartetto americano innamorato del vecchio, sano ed immediato punk. Dopo una serie di EP, la band capitanata da Katie Greer è finalmente pronta per entrare nel mondo dei grandi con dieci tracce fatte di un robusto rock capace di flirtare con l’ironia e la cultura musicale nata nei tardi ’70. È la batteria garage di “Appropriate” ad aprire il disco, cui fa seguito il cantato della Greer; una voce volutamente sguaiata che ben si sposa con i semplici, ma efficaci riff delle elettriche. Con “JJ”, invece, i Priest fanno ancora un passo indietro, diciamo di un decennio (garage surf). È lì che siamo proiettati ascoltando la seconda canzone, mentre in “Nicki” (ed ancora nella successiva “Lelia 20”) le chitarre e, soprattutto, la parte vocale ci riporta ai migliori Banshees. Una delle migliori risulta assolutamente “No big bang” in cui il cantato della Green abbandona l’appena ritrovata melodia per recitare sopra un muro di chitarre monocordi. Se ci sforziamo (ma neppure tanto, in effetti) ci pare di sentire un vecchio disco dei Sonic Youth, in cui Kim Gordon incantava semplicemente parlando dietro muri di feedback creati dai signori delle distorsioni. La title track non è una delle canzoni che ci pare possano lasciare il segno, mentre la porzione finale del lavoro riporta alla tipica immediatezza post punk. È in questa chiave che si leggono “Pink white house”, “Puff” (riecco la riot girl) e la conclusiva “Suck” che inizia con un basso ed una chitarrina funky, inaspettati quanto piacevoli diversivi. Insomma, pare un disco vero questo dei Priests. È suonato, è sporco quanto basta, omaggia senza fare delle mere fotocopie ed è un lavoro in cui l’odore della cantina è ancora forte. Mica poco. (Gianmario Mattacheo)