MATTEO BRIGO "It works!"
(2017 )
Due secoli fa, il valzer era una danza popolare in Austria, proveniente quindi "dal basso"; successivamente i compositori romantici lo inserirono nel loro contesto colto. Lo stesso destino è riservato all'heavy metal, in tutte le sue sfaccettature. Se negli anni '80 si poteva considerare genere del garage e, in un certo senso, antagonista, di rottura generazionale, ora il fenomeno si può decontestualizzare, si possono prendere gli stilemi che negli anni si sono consolidati, e giocarci sopra con autoironia. Questa è la sapiente operazione che compie Matteo Brigo. Il suo album "It works!" è composto di una decina di pezzi strumentali dove il nostro guitar hero manifesta tutto il suo virtuosismo tecnico ma nel contempo anche la sua forza espressiva. Basate sullo shredding, le canzoni presentano tutte dei melodici ed assoli sorretti quasi sempre da un'incalzante ritmica hard. L'album inoltre è una sorta di concept, la narrazione di uno scienziato pazzo che, come Frankestein, crea una chitarra-mostro (visibile nella copertina, dove c'è anche un'amica carota). Essendo i brani strumentali, il racconto è lasciato all'interpretazione emotiva dell'ascoltatore a seconda di ciò che è portato a pensare dalla musica, comunque i titoli lasciano evidenti indizi relativi al cinema di fantascienza ed in particolare a "Ritorno al Futuro". Il brano d'apertura è ben descritto dal titolo onomatopeico "Kaboom!", è una vera esplosione di doppio pedale, riff e melodia condita di bending ed armonici artificiali. Questi ultimi tornano spessissimo e volentierissimo fino al parossismo, tant'è che se mentre nel quarto pezzo, "It works!", stai pensando che forse Brigo sta un po' esagerando, lui ti legge nel pensiero e dedica un intero arpeggio shred fatto tutto interamente di armonici! Matteo si prende gioco di sé stesso e in questo caso l'ironia non mortifica le intenzioni ma le esalta ulteriormente. La seconda canzone "Great Scott" sembra un secondo capitolo del primo, le due tracce sono molto somiglianti fra loro, se non fosse per un intermezzo rock and roll e per un pianoforte nell'introduzione. Inoltre in un passaggio la band si diverte a fare pausa sul primo battito delle battute, creando una sensazione voluta di fuori tempo. Il terzo, "In the lab", è uno dei tre brani che si discostano dal resto; presenta accordi puliti ed un insolito mood swing, e il risultato è un'aura misteriosa e di suspence. Poi c'è il già citato "It works!", che nel refrain espone un tema entusiastico che ben rappresenta la sensazione del ''Dr. Frankestin'' (quello di Mel Brooks) nell'esclamare "Si può fare!". "Abnormal" invece è un pezzo più introspettivo: un incedere andante e monotono di cassa e rullante accompagna una sequenza di accordi che a metà diventano inaspettati. La situazione è molto ambientale ed inquieta e a un certo punto presenta molti feedback. Nel refrain c'è una chitarra acustica di accompagnamento che ricorda quella sotto "L.S.D. La Sua Dimensione" dei Bluvertigo, (solo come sonorità beninteso, non c'è nulla di "Acidi e Basi"...). Il sesto brano, "To the time machine", presenta una delle melodie più eroiche dell'intero Lp; nel pre ritornello si può cantare in coro facendo "ooooh" come accadeva con il tema di "Fear of the dark" degli Iron Maiden al Rock in Rio. Il ponte presenta una variazione soft che altro non fa che valorizzare la terza esplosione melodica, e a quel punto è impossibile restare fermi. Fantastico l'aver messo in sequenza questo pezzo ed il successivo "Murder, they wrote", il secondo episodio con accordi non distorti. Il tastierista crea un arrangiamento orchestrale che crea ulteriore suspence, mentre poi arriva il pezzo con più groove, "Multidimensional Scaling", con un altro tema dotato di gradevoli giochi ritmici. Poi la narrazione del concept inizia a perdere linearità, infatti il nono pezzo si chiama "Super Paradox Combo"; lo spaziotempo è compromesso, e ci attende un'altra esplosione melodica hard and heavy a livello di "To the time machine". Questi due brani sono stati scelti per due videoclip coloratissimi, scherzosi ed esaltanti, che mostrano chiaramente l'atteggiamento giocoso e divertito di Brigo con la propria bravura. Il pezzo di chiusura "Who knows?" è il terzo brano inaspettato, una chiusura che spiazza perché vira nel progressive, con una zona in 13/8, un vibrafono straniante e un assolo di synth alla Jordan Rudess. Una progressione particolare di accordi nel tema melodico crea un piccolo gioco che porta la melodia ad essere intuita dall'ascoltatore, ma viene dirottata da dove prevista nell'ultima nota, e viene soddisfatta solo nel finale suonato piano, tra pad ariosi che sfumano. E a questo punto, chi sa come andrà a finire? To be continued... (speriamo!). Chitarrista dal 2009 nei Maieutica, band di "rock pensante" che porta messaggi forti nella musica e che quindi necessita di un clima più serioso e a tratti cupo, Matteo Brigo sentiva l'esigenza di esprimere la sua parte più spensierata, e ha covato negli anni questo gioiello strumentale, che supera la ripetitività di Neil Zaza nel suo "Melodica" realizzando un racconto in note che conquisterà anche i non cultori dei generi più spinti, grazie alla sua forza espressiva. (Gilberto Ongaro)