recensioni dischi
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JULIA TRASER  "My own way"
   (2017 )

"Le stelle zittite dall'ardore e dalla luce dei lampioni". Così inizia l'Ep "My own way" di Julia Traser, tra poesia e montagne. La giovane cantautrice di Livigno (SO) esordisce con cinque canzoni che attingono a piene mani dal folk, con suggestioni celtiche e una voce che suona già internazionale. I testi in italiano del primo e dell'ultimo brano sono del poeta Willi Zini, che Julia musica ed interpreta facendole proprie con naturalezza, vestendo le parole di melodie ben calibrate. I tre pezzi centrali sono due in inglese e uno metà in italiano e metà in inglese, scritti totalmente da Julia. Guardando un'intervista che l'artista ha rilasciato per una tv locale, si vede il carattere timido - più che timidezza è quella rara dote chiamata umiltà - della ragazza, che spiega che si sente ancora bloccata a scrivere in italiano perché sarebbe come mettersi a nudo. Eppure nelle uniche frasi in italiano di suo pugno nella titletrack, non emergono ragioni per vergognarsi. "Quante volte mi sono fermata davanti a stupide apparenze", o: "Quante volte ci ho creduto fermamente in quell'amore grande e sincero, quante volte che mi sono resa conto di non saperne neanche un po'" non sono frasi particolarmente narcisistiche o autoreferenziali; tutti possiamo riconoscerci in queste riflessioni, se siamo onesti. Io ammetto che sono fazioso verso la linguamadre, tuttavia anche gli ascoltatori casuali potranno confermare il picco emotivo che si raggiunge nel brano di chiusura "Occhi di bosco", dove le ricercate parole del poeta vengono coccolate da una melodia strappalacrime - che nel ritornello compie stacchi ritmici che ricordano quelli in ''Broken'' di Elisa, non per le note ma per lo stile - e il tutto viene impreziosito dal violino fiddle e dall'immancabile tin whistle. E questa dolcezza commuove di più se riusciamo ad associarla a qualcosa di comprensibile nell'immediato, come appunto in "Occhi di bosco". Questo comunque non toglie nulla alla bellezza cristallina della voce di Julia, che spicca ugualmente anche in inglese, specie su "Ginger". In questa canzone tra l'altro la sezione ritmica si è divertita a spaziare dal folk a un groove reggae, nell'accezione dei Police. Il tutto appare come una felice fuga dalla realtà. "Non ci voglio stare, non ci voglio restare, non voglio il mare" si sente in "Grigiori d'arcobaleno", nel cui videoclip c'è una ragazza che corre nei prati e poi addirittura levita a mezz'aria. Questo spezzone ben descrive le evocazioni sonore dell'Ep. Ed è l'augurio che faccio a Julia Traser, che prosegua a scrivere canzoni di suo pugno mantenendo questa sincerità e questa freschezza, per continuare a ergersi "alla volta del sole". (Gilberto Ongaro)