recensioni dischi
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GEORGE MICHAEL  "Older"
   (1996 )

Lo avevamo perso per strada, ingolfatosi tra problemi discografici e la voglia di scappare dal clichè del bello e frivolo.

Quando lo fecero uscire dai drammi contrattuali, si capì subito che non era proprio la stessa cosa, anzi. O meglio: era la stessa eccome, ma legandosi molto di più al soul di “Listen without prejudice” che non alla pacchianeria di certi passaggi di “Faith”.

D’altra parte, l’esordiente singolo “Jesus to a child” era un pugno nello stomaco: lenta, struggente, e dedicata ad un uomo. Un uomo, morto di aids: poca ipocrisia, ma dieci anni prima la cosa sarebbe stata, del tutto, impraticabile.

“Older” era il primo album di George dopo aver conseguito una sua autoconsapevolezza, le ruffianerie erano sempre di meno, e i brani di atmosfera superavano quelli ritmati, benchè “Fast love” fosse stata, all’epoca, canzone che venne quasi a noia, dal successo che aveva avuto.

Attorno tanta voglia di dire anche delle cose, e non solo di farsi vedere o di farsi ballare: aveva fatto pace con la propria immagine, mostrandosi figo ma senza dover eccedere negli atteggiamenti, e prima di doversi scontrare con un certo problemino in certi gabinetti questo bastava per dire alla gente “sono un essere umano e non solo un poster”.

Anche se, alla lunga, molti brani di questo album siano stati depennati dai classici: forse, il problema era quello di un ascolto ancora troppo frivolo per quello che realmente necessitava, in modo da poterlo apprezzare per quello che era. Ma questo problema, George, lo ha, lo aveva sempre avuto. E non ci avrebbe mai trovato un pareggio.

Comunque sia, a riscoprirlo piano piano, potrebbe piacere in toto. (Enrico Faggiano)