recensioni dischi
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FLACO PUNX  "Coleotteri"
   (2016 )

L’esordio solista di Flaco Punx – chitarrista e autore dei testi dei Punkreas – è un rinnovamento musicale che nasce principalmente dal rimanere fedele a sé stessi: permangono l’attualità nelle tematiche dei testi, l’energia ribelle dell’alternative rock e la voglia di porsi come alternativa reale e sincera alla società ipocrita in cui viviamo. La rivoluzione sta nel rendere tutto questo estremamente godibile, orecchiabile e squisitamente pop, senza rinunciare alla solita grinta.

La grande attenzione per il mondo circostante impone a Flaco un impegno sociale – e se vogliamo anche politico, e non perché sia assimilabile a una precisa bandiera o fazione ma perché indaga nel profondo le ragioni dell’uomo in quanto entità politica – e una lotta per il giusto estremi e coinvolgenti. Tematiche come gli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda, la manipolazione del DNA affollano la title track, che nel suo incendere potente e sicuro sembra voler cantare ironicamente le lodi di una società contraddistinta quasi solo da difetti; l’avvolgente rabbia del brano ha le sue radici in ciò che lo ha preceduto, e cioè una prima parte di disco che dimostra quanto Flaco non abbia abbandonato le sue “radici Punkreas” e la sua innata voglia di mettere quelle al servizio di una melodia accattivante. E così l’incipit del disco, “Gorky”, conquista per la sua violenza scarna e sarcastica, che mescola momenti quasi rap a passaggi metal, mentre “Codice Rosso” impressiona per la sua schiettezza: gridare oggi “Dio è morto”, a cinquant’anni di distanza dal grande successo dei Nomadi, amplifica il significato dell’affermazione, la condisce dei problemi ancora più grandi che sono nati nell’ultimo mezzo secolo, e ci lascia di nuovo con le spalle al muro. Nonostante ciò, il pessimismo non è mai predominante; Flaco cerca di mostrarci gli spiragli che esistono e dai quali possiamo ripartire, allargando queste piccole fratture fino a renderle più grandi.

Flaco diverte e si diverte: ne è un esempio “Bubblegum”, che sembra apparentemente una canzone d’amore ma fa in realtà i conti con l’inquietante possibilità che presto riproduzione e sessualità saranno scisse. Fare i conti – come sottolineato già prima – con sé stessi ancor prima di farli col resto del mondo. “Dodici Ore” ribadisce questo inevitabile legame che unisce il singolo alla società, un legame conflittuale che incide sulla propria psicologia fino a renderci alienati e spaventati. Le chitarre funky si intrecciano ad un basso duro e grave, con la voce che aggredisce ogni parola e risulta forte e tagliente. “Le cose cambiano, non sempre come credi tu” riassume come meglio non si potrebbe la disillusione di Flaco. Il disco procede in questa dimensione crossover, dove il punk flirta con le melodie pop in alcuni momenti e con l’hard rock in altri. “Zona d’Influenza” prende il volo quando le chitarre spariscono per un attimo e lasciano voce e batteria a combattersi il campo d’azione; “Scura” assume quasi un andamento ballabile nonostante la sua animosità ed una voce molto roca; “1861” è un divertissment in pieno stile Punkreas, dove si rivede finalmente la natura reggae della chitarra di Flaco. La chiusura del disco ci consegna un’impressione estremamente positiva dell’opera, dove l’energia di Flaco non perde mai un minimo di sincerità né la voglia di cambiare il mondo e la mentalità della gente. (Samuele Conficoni)