ANGELO SAVA "Addio Pimpa"
(2016 )
Il solipsismo ipnotico e rumorista di Angelo Sava, artista pesarese al debutto con le quattro tracce di questa strabiliante autoproduzione, prende le forme di un fosco chitarrismo elettrico in minore, saturo e disturbato, che si affaccia stralunato tra riverberi e nebbie shoegaze. Formalmente accostabile all’idea che elesse Vasco Brondi a starlette dell’indie nostrano un paio di lustri orsono (leggasi: nuda voce e chitarra elettrica inacidita, anziché la canonica sei corde acustica da loser crepuscolare), “Addio Pimpa” si discosta dall’archetipo in virtù di un approccio differente nella sostanza e negli esiti. In primis il muro di elettricità eretto a protezione di testi sfatti e introversi non è solo un appoggio (è un accompagnamento, in Brondi), bensì lo strumento che contribuisce in misura determinante a definire lo scenario globale, tratteggiato con una nitida disillusione inversamente proporzionale al frastuono slabbrato in cui è immersa (“Ritornerò”); rispetto all’approccio scomposto e delirante del ferrarese, i testi di Sava appaiono meno sfuocati e indefiniti, meno visionari e dispersivi: l’effetto straniante che sortiscono contribuisce a definire canzoni complete nelle quali l’amalgama di musica e testo risulta in una integrazione inebriante, quasi si trattasse di una libera interpretazione del concetto di psichedelia applicato ad una dimensione intima e personale (“Il mobile delle bottiglie”). Rigonfi di feedback, mai tediosi o autoreferenziali oltremisura, i brani lambiscono a tratti, con la loro colata di mestizia, una sofferente dimensione prossima all’emo-core, senza che – paradossalmente – di emo-core si rinvengano vestigia (“Come non vorrei”); nulla è di troppo, nulla appare forzato, ridondante o distopico, nemmeno il recitato sbilenco che apre “Intanto guardo Rosemary” – più l’Umberto Palazzo di “Mare tranquillitatis” che il Mimì Clementi di sempre – e che guida verso l’eccellenza assoluta questo piccolo, enorme assaggio del fascino mesmerizzante di un giovane autore incatalogabile, voce isolata da cullare fra le migliori promesse di un mondo a parte. (Manuel Maverna)