SOFT GRID "Corolla"
(2016 )
Un sinistro, gracchiante rimbombo introduce “Corolla”, album di debutto dei Soft Grid, trio berlinese formato da Jana Sotzko (Dropout Patrol), Theresa Stroetges (Golden Disco Ship) e dal batterista Sam Slater, un act la cui peculiarità risiede principalmente nella intensa imprevedibilità delle esibizioni live, autentici happening “aperti” impossibili sia da catalogare che da ricondurre ad un preciso filone. E’ il preludio agli oltre sette minuti dell’opener “Herzog on a bus”, vertice del disco e vortice sperimentale che spreme all’osso il concetto di psichedelia vagando tra multiformi variazioni: muovendo dal rallentamento catacombale dell’incipit – quasi i Cure di “Pornography” – trafitto da vocalizzi fanciulleschi e stranianti, il brano esita in una parte centrale occupata dalla ripetizione del verso “You should have played baseball”, si placa in una nuova dilatazione per synth e tromba su un registro à la These New Puritans, collassa infine in due minuti di echi e suoni sparsi lasciati fluttuare in uno spiritual drogato. La successiva “Hospital floor” esordisce come un canto gregoriano a tre voci nel quale si insinua un graduale crescendo di elettricità disturbata, sventrato dopo quattro minuti da una deflagrazione improvvisa che indugia su suggestioni atonali à la Sonic Youth, evolve in una pulsazione sghemba e dissonante degna dei Disappears, frana in un altro cul-de-sac di distorsioni inacidite. Ingannevole requie concedono i quasi tredici minuti di “Minus planet”, condotti inizialmente a passo kraut, ma ribaltati verso la metà da un crescendo dark-wave che digrada in una cadenza agonizzante sottolineata dalle due voci femminili ed ingoiata in un gorgo di rigurgiti in cui fanno capolino un violino, un basso metronomico, arpeggi post-rock degni dei June of ’44 ed una generale aura di spiazzante visionarietà: quasi le prime Warpaint, un ossessivo marasma che assume talora i toni di un free-form indefinibile. Dopo il breve intermezzo intimista e allucinato di “Two barrels of a gun”, steso sulle note sgranate del basso, il lavoro si chiude con l’incedere martellante della title-track, groove ingannevole che satura fino al fastidio un’aria falsamente accessibile prima di naufragare in una ipnotica nebulosa space. Disco imperniato sì sull’elettronica, benché largamente incline a suggestioni e contaminazioni mutuate da mondi limitrofi, “Corolla” è un patchwork impazzito che sottrae appigli e certezze offrendo trentacinque minuti di frastornante disorientamento, album dal fascino sbilenco che induce a smarrirsi fra le sue labirintiche spire. (Manuel Maverna)