recensioni dischi
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ADAM CARPET  "Parabolas"
   (2016 )

Il secondo album degli Adam Carpet è una gioiosa conquista, una presa di coscienza che sa di perdita e di acquisizione al tempo stesso: fa i conti con un sound del passato e pone le basi per il futuro prossimo, in bilico tra Kraftwerk e Don Caballero, elettronica pulsante e fantascientifica e chitarre sanguinarie e incendiarie.

I quattro minuti abbondanti di “Pragmatic Children” – il secondo brano del nuovo album degli Adam Carpet, che è anche il singolo che lo anticipa – sono la sintesi perfetta di ciò che è l’intero disco. Il progetto, quasi interamente strumentale, è talvolta arricchito da una voce filtrata, robotica, di cui è difficile comprendere le parole, e che è un compendio perfetto ai sintetizzatori e alle chitarre sotterranee che popolano le canzoni. Un tripudio di accenni emoziona e coinvolge l’ascoltatore, riportandolo alle note celestiali di “Trans Europe Express” dei Kraftwerk e di altri esperimenti cosmici tedeschi. Questo equilibrio tra elettronica e analogica è il vero punto vincente – e campo di battaglia, e terreno di alleanza al tempo stesso – che avvolge l’opera dall’inizio alla fine. I martellamenti ruvidi ma appassionati di “Pragmatic Children” si trasformano in sussurri lievi in “Still Still”, dove i sintetizzatori hanno ancora più spazio rispetto agli strumenti “tradizionali”.

Richieste di aiuto tremende e disperate sembrano caratterizzare “Let’s Try to Clean My Board”, molto vicina, per tanti aspetti, al brano che apre l’album, la strepitosa “Obsessed with Casting”, in un crescendo strumentale che alterna momenti di stasi a gettiti di foga improvvisi e quasi paurosi. Il grande merito del gruppo non è tanto quello di una ossessiva ricerca di originalità – questo tipo di genere musicale offre spunti a centinaia di band ogni giorno, e solo pochissime riescono a rompere il muro della derivazione e a creare un nuovo codice espressivo – quanto l’abilità di non porsi limiti e la volontà di rischiare. Basti pensare che nel brano d’apertura già citato, come anche in “Neet”, è evidente l’influenza dei Neu, soprattutto del loro disco omonimo del 1975 e di un brano come “E-Musik” in esso contenuto, ma le fughe finali di entrambe le canzoni sono omaggi e “ringraziamenti” spirituali al modello post-rock di Don Caballero – con un occhio di riguardo in particolare per “What Burns Never Returns”, il loro picco dal punto di vista della tecnica –, Gospeed You! Black Emperor, Polvo, alle scalate (e discese) mentali dei Sonic Youth, e persino al rock più tradizionale degli Eric’s Trip.

L’evoluzione pop improvvisa e sorprendente che alcuni brani presentano – “Neet” su tutti, vera chicca del disco, ma anche “Still Still” e la parentesi quasi-dance di “Pantone 18-2021” – può avere motivazioni e significati diversi. Ecco, di seguito, una possibile spiegazione. Gli Adam Carpet sono influenzati soprattutto dall’elettronica cosmica tedesca e americana degli anni ’70, dai Sonic Youth di “Daydream Nation” e “Goo”, e dai turbinii infernali del post-rock dei ’90. La scena musicale anni ’90, più che quelle dei due decenni precedenti, è stata caratterizzata da una osmosi tra generi raramente vista in passato: per questo, nei momenti post-rock del disco, troviamo parentesi estremamente melodiche – in “Neet”, appunto – o accenni metal, come in fondo a “Just in Case of Wanting to Be Famous”, che poi si trasforma in una sorta di macumba progressive. La libertà delle derive strumentali elettroniche più orecchiabili che concede il kraut rock si somma e alterna a quella più aggressiva e dissonante che concede il post-rock. In mezzo a questi due punti ci sono migliaia di stadi intermedi: gli Adam Carpet ne scelgono un paio. Il risultato finale non è affatto da buttare.

La maggior parte del disco è, come detto, strumentale. La scelta è coraggiosa, e pochi gruppi italiani scelgono di confrontarsi con due generi complicati e cervellotici come il kraut e il post rock. Ci sono gli Spiritual Brothers, per la prima categoria, e i Giardini di Mirò, per la seconda, che hanno lasciato il segno – ciascuno a loro modo, con personalità e impegno – nei rispettivi campi. Gli Adam Carpet, nel tentativo di fondere i due generi, guardano più ai modelli esteri che alle loro riproposizioni italiane. Più si ascolta il disco, più si notano i riferimenti a “Tago Mago” dei Can e agli enormi Harmonia; c’è qualcosa degli Slint, ci sono accenni veloci agli Stereolab. La sensazione è che i cinque siano riusciti nel loro intento, senza sentire il bisogno di mascherare minimamente le derivazioni e le influenze a cui hanno guardato. (Samuele Conficoni)