PAPA CLOACA "Under mi sound"
(2016 )
Non esattamente un ragazzino (ha già allegramente "sfangato" la soglia dei 40), Giorgio Pastorelli, in arte Papa Cloaca, è decisamente uno dei nomi più importanti del movimento dub reggae tricolore: alle spalle ha decine di esperienze importanti e decisive, per sé stesso ma anche per tutto il movimento, esperienze poi confluite nella celebre crew Baracca Sound di Roma, attiva ormai da quasi 20 anni, nella quale Cloaca (soprannome derivato dalla cloaca maxima, ovvero il tutt'ora funzionante sistema fognario capitolino) collabora con personaggi fondamentali come Pavese Rudie e Cullaman, con i quali ha anche realizzato un disco importante come "Foundation" 4 anni or sono. Praticamente all'esordio solista, Papa Cloaca mette insieme un disco davvero interessante, nel quale trovano spazio riferimenti ed ambientazioni relative a tutte le sue svariate sperimentazioni passate, Baracca ovviamente compresa, ma con un occhio di riguardo alle note '70/'80, periodo d'oro per il genere in questione e, più in specifico, grande passione di Giorgio da tempo immemore (la sua collezione di vinili di quell'era è davvero notevole). Quella che salta immediatamente alle orecchie nei 10 episodi del disco è una grande spontaneità, figlia anche della scelta, realizzata in molte tracce, di effettuare le registrazioni in "presa diretta", "one touch" come si dice in gergo, mantenendo quindi intatto lo spirito che permea la suddetta crew fin dalla nascita, e che è uscito rafforzato dalla recente ricostruzione dopo che il casale-sede del Baracca è andato distrutto in un incendio doloso. Scendendo nello specifico, è assolutamente irresistibile l'ironia di "Bar Mafia" (riferimento probabilmente non casuale al celebre "Bar Mario" di Ligabue), così come "Orticaria televisiva", nella quale l'umorismo del nostro fa decisamente pensare all'attuale, tristissima situazione televisiva tricolore; ma la menzione d'onore spetta alla divertente "Quaquaraquà", nella quale Papa ritrova felicemente gli amici di lungo percorso Cullaman e Pavese Rudie. In effetti è tutto il disco, nel proprio complesso, che risulta assolutamente fresco e godibile, non solo per chi ama i riddim di ambientazione giamaicana ma anche per chi, solitamente, frequenta territori musicali di tutt'altra fatta. Il reggae diventa allora, ce ne fosse ancora bisogno, uno dei linguaggi più universali in assoluto. In nome, stavolta, pure della buona musica. (Salvatore La Mazzonia)