FABIO SANTINI "Il primo giorno d'autunno"
(2016 )
Il disco d’esordio di Fabio Santini, potenziale futura stella della scena mainstream italiana grazie al discreto successo raggiunto con la partecipazione alla settima edizione di X-Factor, è una umile e sincera dichiarazione di intenti, tra i successi e i fallimenti del suo universo ancora acerbo ma pieno di spunti e ricerche originali.
Bisogna recuperare il primo Lucio Battisti, il Dalla all’altezza delle collaborazioni con Roversi, e lo straordinario Rino Gaetano, con i suoi ritmi estroversi e ballabili, per capire la dimensione della canzone italiana pop di qualità e di successo. In tempi più recenti, in pochi sono riusciti nell’impresa di coniugare queste due caratteristiche: Vinicio Capossela, in parte Colapesce e, con un recupero delle sonorità ‘80s, i Thegiornalisti, le cui hit restano però ancora appannaggio di una nicchia piuttosto ristretta. Fabio Santini, in questo disco d’esordio, non molto originale negli arrangiamenti ma estremamente ricco di idee per quanto concerne le composizioni e la scrittura, tenta di riproporre il format con risultati più che buoni. La dichiarazione di poetica di apertura, ''Jim e Jimi'', dimostra subito il talento melodico del cantautore. “Volevo diventare un grande cantastorie”, declama Santini: una sorta di dichiarazione di poetica, con riferimenti forse a Jim Morrison e Jimi Hendrix, di un “eterno Peter Pan” che non rinuncia a mettere su un piedistallo – col rischio di risultare banale, ma con un coraggio sufficiente a non diventare tale – l’amore giovanile e il baule dei sogni accanto al quale si cresce e si diventa, volenti o nolenti, uomini. Spensierata ma al tempo stesso non meno riflessiva è anche la seconda canzone, primo singolo estratto dall’album, ''La Forma del Tuo Cuore'': le parole sembrano i colori che il pittore applica sulla tela, attingendovi dalla tavolozza; la voce è il pennello che assume forme diverse nel corso dei minuti: prima dolce, vellutata, poi resa ruvida attraverso un effetto, poi di nuovo nuda ma più schietta, nel finale. Molto belle sono anche ''Cannibalove'' e ''Qui'', altri due esempi della grande capacità di Santini di creare melodie orecchiabili attraverso una progressione di accordi semplice e regolare.
Le fonti di ispirazione di Fabio Santini sono molteplici e non facilmente identificabili; una di esse è sicuramente la canzone italiana degli anni ’60: ne sono una prova evidente lo scheletro delle canzoni, quasi tutte scandite da una netta separazione strofa-ritornello, e i loro arrangiamenti di ampio respiro, sanremesi ma estremamente modernizzati. Si distaccano da questo modello ''Un Uomo Qualunque'', vaschiana nell’approccio vocale e nel modo in cui le parole fuoriescono – con durezza e rancore – dalla bocca del cantante, e ''Tu Non Mi Basti Mai'', il brano di chiusura, canzone di Lucio Dalla – da sempre un punto di riferimento per Santini – che unisce momenti orchestrali, caratterizzati da un fischio debole che fa pensare a Morricone, a una parte cantata che ricorda alcuni momenti del Samuele Bersani di fine anni ’90. Una cover che risulta, con la dovuta reverenza per il maestro Lucio, davvero riuscita.
L’universo della canzone popolare italiana è ciò di cui si è nutrito prevalentemente Santini; non sono pochi i momenti rock o folk, che trovano uno spazio contenuto ma che sono carichi di significato e di potenza. Ciò che esce fuori dall’ascolto di questo disco è una grande speranza per il futuro: le radio italiane, le loro emittenti televisive e in generale un ampio pubblico – più traversale rispetto a quello che attirano artisti meno “facili” – possono contare su un nuovo elemento che ha un talento innato e notevole per le melodie difficilmente dimenticabili. Un auspicio perché il pop, anche quello più commerciale, possa tornare a livelli qualitativi alti come quelli raggiunti pientamente in questo album.
(Samuele Conficoni)