OIL "Electroshock serenade"
(2016 )
In questo brillante EP, che supera di poco i venti minuti, gli Oil riescono a fondere in maniera molto efficace e attraente il lato più rock degli Stone Roses con la vena malinconica di Eels, forse chiamato in causa nel titolo, che ricorda il suo meraviglioso ''Electro-Shock Blues''.
Nel tentativo di analizzare, attraverso un “fil rouge” comune a tutte le canzoni, le difficoltà che l’uomo contemporaneo incontra nel suo complicato percorso verso una spiritualità (laica) liberatoria ed una autarchia sentimentale e comportamentale, la band, e in particolare Federico Pozzi – voce, basso e autore dei testi –, sceglie un approccio diretto e profondo, trattando tematiche complesse ed estremamente inquietanti: occorre sciogliersi dai legami affettivi che ci impediscono di ampliare le nostre percezioni, analizzare coscienziosamente il rapporto pieno di ostacoli che ci avvicina e al tempo stesso distanzia da chi ci è intorno, rendersi conto di quanto siamo instabili e deboli mentalmente. Risposte sicure, soluzioni alla portata di mano, non ce ne sono; comprendere il problema, accettarlo e “psicanalizzarlo” rappresentano già tre passi giganteschi e significativi in vista della risalita. L’unica sicurezza – sembra dirci il gruppo – è che non si può “uscire senza prima entrare”.
Ma veniamo alla musica: anche se non si percepisce nulla di troppo innovativo, la qualità è molto alta e le ricerche melodiche sono di grande impatto e forza. Quasi tutti i brani conquistano per la loro evidente – e per nulla banale – capacità di muoversi al limite tra un indie pop molto semplice e piacevole, pieno di momenti strepitosi, ed un rock con sfumature blues più sporco e andante nei suoni e nei ritmi. Perfetto esempio di questo mix vincente è ''Bullet'', che sembra strizzare l’occhio all’atmosfera lo-fi da Pavement senza però rinunciare alla precisione stilistica monumentale dei R.E.M. L’apertura con ''Carefully'' aveva indicato una direzione quasi brit-pop, ma già ''Do-It'' risulta più aggressiva e quasi grunge. I due brani conclusivi, ''Rattlesnakes'' e ''New Escapes'', continuano sulla falsariga di ''Bullet'', proponendo un marchio R.E.M. intrigante, con la prima che sembra uscita da ''Reckoning'' e l’altra da ''Document''. Anche il cantato è modulato non poco su quello di Stipe, con quel suo tipico distacco nel proclamare, in modo quasi neutro e disilluso, ogni singolo verso. ''New Escapes'' è una splendida ballata, molto lenta e scarna, che invita a continuare la riflessione anche dopo il disco, al di fuori dell’arte, nella nostra complicata esistenza terrena, per ricordarci che non è tutto qui davanti a noi: ci aspetta ancora tanto, là fuori, oggi e domani, e soltanto la forza di volontà potrà permettere la risalita. (Samuele Conficoni)