JURI CAMISASCA & ROSARIO DI BELLA "Spirituality"
(2016 )
Se è tanto che sognate, con la fantasia, un bel viaggio in India e dintorni, o non avete la possibilità di frequentare corsi di rilassamento e introspezione, avete la soluzione a portata di mano. Isolatevi per un’oretta (tanto dura questo cd), aprite la mente dimenticando le sonorità di un’Italia pop-pettona e lasciatevi coinvolgere da un sogno mistico ed affascinante: quello che vi offrono Juri Camicasca e Rosario Di Bella. Il primo, considerato un fenomeno del pop progressivo, percorre gli anni ’70 all’insegna della sperimentazione vocale fino a coltivare la passione per la cultura e il misticismo indiano. Il secondo detiene una buona carriera cantautorale con 5 album e la partecipazione al Festival di Sanremo nel 1991 con Conidi e Bungaro con il brano “E noi qui”, per poi abbracciare un percorso di ricerca spirituale con l’esoterismo e filosofie orientali. Con “Spirituality” ci “urlano” sottovoce di fermare, o quantomeno rallentare, la furia del tempo che passa, ci invitano a recuperare il sano vivere impegnandosi a riappropriarsi di sé stessi per non impregnarsi di isolamento e smarrimento, e di vigilare sulla crisi dei valori spirituali in primis. Come dire: una delle rare volte che la crisi economica passa in secondo piano, perché è loro convinzione che, curando l’anima, si produca l’elisir della serenità. I due provano a trasmetterci questa filosofia attraverso 14 canzoni, e ci fanno immergere in un misticismo dialettico e sonoro che, in alcuni episodi (come in “Suprema identità”), ci conducono al miglior Battiato. Oppure si notano evidenti riferimenti ai Radiodervish di Nabil Salameh, cosi vicini nel sound e nella condivisa concettualità. Ascoltate, per esempio, “Il sole nella pioggia”, e vi accorgerete della suggestiva somiglianza con il singer del succitato combo etnico. Le tracce rimangono perennemente sospese tra profonda energia e onirica contemplazione, dove i due si alternano sia al canto singolo che in coppia. Nessuno strumentale? C’è anche quello, ed esattamente lo trovate nei tre pezzi finali (che sembrano uno solo…), dove gli oltre 7 minuti di “Luce dell’India” inghiottono i nostri “eroi” con tanto di vocalizzi lontani, dando l’idea di scivolare lentamente, ma inesorabilmente, negli abissi dell’anima: cosi si chiude il cerchio. Di sicuro non si può dire che Camisasca e Di Bella non abbiano avuto coraggio a proporre un’opera cosi. Ma chi, come loro, si intende a memoria e ostenta sicurezza su queste tematiche (compreso il gruppo Caselli-Sugarmusic, che ha prodotto il progetto), può certamente subire il fascino indiscutibile di questo anomalo progetto. Quindi, prego: “Nessuno LI può giudicare nemmeno tu…”. (Max Casali)