recensioni dischi
   torna all'elenco


EMPATEE DU WEISS  "Old tricks for young dogs"
   (2016 )

Band composta da sette elementi, formatasi a Reggio Emilia nel 2010, gli Empatèe Du Weiss pubblicano “Old tricks for young dogs”, il secondo lavoro di studio a tre anni dal debutto “The scomposer”, proseguendo nell’approfondimento di un progetto stilistico e concettuale di rimarchevole spessore. Dediti ad una singolare fusione di generi e sottogeneri, li miscelano fino a pervenire ad una sintesi che risulti fruibile per il grande pubblico, nonostante a prevalere sia sempre una matrice in certo modo raffinata e dotta. Quella centrifugata dagli Empatèe è musica meticcia e sincretica, una piattaforma estremamente open che pesca a piene mani da un coacervo di disparate suggestioni etniche, impastando jazz godibile e hip hop, molto ska, accenni di latina, parecchio reggae. Vagando su un substrato apolide con l’apporto ed il sostegno di nomi di spicco, la band sdogana istanze colte ed elitarie introducendo elementi che invitano al ballo pur conservando intatta quell’aura di soffusa avantgarde che ne eleva intenzioni ed ambizioni. In sette articolate, sovraccariche composizioni nelle quali stipano innumerevoli contrappunti (più che reali variazioni), inanellano soluzioni semplici a problemi complessi, come nei quasi otto minuti dell’opener “Sound for Marcos”, che inizia elegiaca ad un passo mesto e funereo in minore, ma vira repentinamente su uno steady beat à la Giuliano Palma prima di aprirsi ad una seconda parte esaltata dai fiati e da inserti electro. Cambiano costantemente punto di osservazione, fornendo molteplici riferimenti ed immediatamente sottraendoli, mutando scenario come i travestimenti di Brachetti: accade nella successiva “Grooviere”, funk con digressioni sul tema di base risolto in un parlato rap culminante in un chorus da Red Hot Chili Peppers, si ripete il gioco in “Moleman”, abbrivio mariachi, sviluppo reggae, canto baritonale espressionista che cede il posto ad un altro asciutto inciso rap sulla scia del primo Eminem. In un gorgo di labirintica creatività la voce di Matilda De Angelis conduce i quattro minuti di “Shut up!” su un sentiero che incrocia Pink Martini e C’Mon Tigre, afro e caraibi, Francia e Balcani, prima che l’ospite Max Collini nobiliti con un gradito cameo una impossibile “Diavolo in levare”, sequenza di ubriacanti divagazioni tra schegge sparse di funk, ska, swing, lounge e quant’altro. E’ il preludio ad un finale che nell’accoppiata “Eating peanuts (in the king’s face)”/”Young dogs’ boogie” (con Mr. T-Bone) privilegia la ritmica a discapito dell’armonia, un pastiche di onnipresente ska e jazz che lambisce l’esercizio di stile, forse autocompiaciuto oltre misura, ma comunque efficace. Disco apparentemente contorto che svela numerosi spiragli di luce o – al contrario – album semplice che sporca trame accessibili grazie alle molte contaminazioni cui ricorre, “Old tricks for young dogs” è lavoro che si concede a svariate interpretazioni, opera che ha forse il solo limite di strutturarsi come musica incentrata prevalentemente sul groove, sì galvanizzante ed ipercinetica, ma destinata a vivere per l’istante, per un guizzo sottopelle, per un’ultima e sfrenata modern dance. (Manuel Maverna)