recensioni dischi
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MATMATA  "Limen"
   (2016 )

I Matmata non hanno fretta. Insieme da 22 anni (sì, avete letto bene, si sono formati nel 1994), ci hanno prima impiegato quasi 10 anni a produrre il primo vagito discografico (“Matmata” del 2003, uscito per il colosso internazionale Edel, la stessa etichetta dei Deep Purple e di Prince, per intenderci), ed ora, dopo le suddette 22 primavere, danno la luce alla loro terza prova discografica, a ben 8 anni dal secondo album ‘’In attesa del cielo’’. C’è chi, in un tale lasso di tempo (sempre i soliti 22 anni), di dischi ne ha prodotti una quindicina o più: loro no. Come detto, non hanno fretta. Meglio così, viene da pensare all’ascolto di questo “Limen”, disco perfetto e levigato in ogni suo più minuscolo particolare, figlio di un’attenzione certosina non esattamente propria dei tempi che viviamo, musicalmente e non solo. In perfetta linearità con la più volte sottolineata posa e tranquillità, Gianmario Ragazzi e compagni lavorano a questo disco da ben 6 anni, durante i quali, in effetti, ne sono successe davvero di ogni fatta: la fuoriuscita del bassista Marco Ravelli e la conseguente entrata di Elvis Cavalleri ed Enrico Mantovani, l’arrivo come produttore di Gnut (al secolo Claudio Domestico, apprezzato artista e music maker, che duetta con la band in “Sono un segreto”), e soprattutto una rinfrancata e sottolineata vena acustica, che permea “Limen” e lo caratterizza come non mai nella più che ventennale storia della band, grazie anche alle vincenti incursioni del violoncello di Mattia Boschi dei Marta sui Tubi e, soprattutto, di Kè, l’indimenticato autore di uno dei brani-feticcio degli anni '90, quella “Strange world” qui divenuta “Strano mondo” ed eseguita proprio in duetto con l’artista newyorkese. Album coeso e godibile in ogni sua più recondita sfumatura, “Limen” non solo ci riconsegna una band assolutamente determinante per l’attuale musica tricolore, ma ci svela ulteriori potenzialità finora abbastanza celate dal combo bresciano. Dal quale, presumibilmente, d’ora in poi sarà ben difficile prescindere. (Andrea Rossi)