recensioni dischi
   torna all'elenco


THE RAINBAND  "Satellite sunrise"
   (2016 )

Chitarre che sembrano uscite dagli anni Settanta, voce che guarda a Bruce Springsteen e ad Eddie Vedder, e ritornelli orecchiabili e ben costruiti: i Rainband, gruppo inglese già atto di apertura dei Simple Minds nel tour italiano del 2012 e di ritorno in Italia a fine maggio al Moto GP del Mugello, sono una piacevole sorpresa all’interno di un genere, il rock più classico, che di per sé ha offerto poco di innovativo negli ultimi anni. Ma la loro ascesa non è finita qui: i Rainband hanno aperto molti concerti dei Kaiser Chiefs e sono saliti sul prestigioso palco di Glastonbury. Niente male come inizio... I Rainband non sono dunque una novità, e in Italia si sono fatti conoscere anche per il brano ''Rise Again'', un tributo al pilota Marco Simoncelli, tragicamente scomparso nel 2011. Suonano insieme già da diverso tempo ed ora ci presentano il loro album d’esordio. Martin Finnigan, voce e leader della band, offre perfomance vocali convincenti e pregevoli. A tratti il suo timbro, sporco ma preciso, ricorda lo Springsteen della seconda metà degli anni ’80 e il Vedder di ''Vitalogy''. È una voce bene educata, studiata nei minimi dettagli, e per questo appare non del tutto spontanea: il risultato, però, è davvero notevole. Ci piace di più quando prova a ricalcare addirittura il divino Bryan Ferry rispetto a quando – per la verità e per fortuna in pochissimi casi - sembra riproporre la formula “piaciona” dei Nickelback. L’album parte forte con ''One Man Down'', che sfonda con un riff pimpante e aggressivo ed abbraccia sin dall’inizio un andamento post-grunge. Con ''Built for Change'' e ''Freefalling'' – quest’ultima particolarmente orecchiabile – il gruppo si mantiene su questi toni: i livelli sono alti, sia per quanto riguarda la qualità sia per quanto riguarda la potenza sonora. Una prima svolta, un cambiamento di atmosfera, arriva all’improvviso: ''Morning Light'' strizza l’occhio all’art rock dei Roxy Music, reso però più carico e pieno nelle chitarre e nella batteria, mescolato con astuzia a Iggy Pop ed al Bowie di fine anni ’70. Rappresenta probabilmente il punto più alto dell’intero disco. ''Ghost'' è la ballata toccante, alla maniera di Springsteen, che punta tutto sui dolci arpeggi di chitarra e su una voce calda, controllata e piena di sentimento: è un altro degli episodi più riusciti. Più scontata, perché uscita troppo esplicitamente dagli anni ’80, ma arrangiata splendidamente, è ''Crimson Tide'', mentre ''Storm'', il singolo che anticipa l’album, rimane in testa da subito, sperimenta maggiormente nella direzione new-wave e rappresenta una seconda svolta nelle sonorità del disco, che da qui in poi diventano più intime e leggere. ''Shadows'' inizia con una atmosfera tetra ed una voce sfiduciata, per poi piegarsi ad una apertura melodica inaspettata nel ritornello; ''Headlong'' è quasi una ninna nanna che con la sua dolcezza, e impreziosita dal violoncello, conduce per mano l’ascoltatore alla chiusura dell’album. I Rainband sono un’ondata di novità in un panorama abbastanza statico, e questo disco d’esordio è estremamente positivo. (Samuele Conficoni)