NEIL YOUNG "Prairie wind"
(2005 )
Questa volta lo spavento è stato grande, ad aprile Young è stato ricoverato al New York Hospital per un aneurisma cerebrale e in molti si sono preoccupati. Lui per primo. “Seppellitemi laggiù dove passano i bisonti e io non mi sentirò lontano da casa” canta in “Far From Home” e chissà se lo ha pensato davvero il vecchio indiano, mentre lo portavano sotto i ferri. 'Prairie Wind' dovrebbe chiudere idealmente una trilogia iniziata con 'Harvest' (1972) e proseguita con 'Harvest Moon' (1992), ma le sonorità del disco sono molto vicine anche a 'Silver & Gold' (2000), poche chitarre elettriche e molta nostalgia, con produzione a Nashville. Young è sempre Young, e quando parte “The Painter” ti viene voglia di abbracciarlo. Dieci pezzi, con “No Wonder” che sembra uscita dagli anni d’oro di CSN&Y, “It’s A Dream” dolce come un ricordo e “Prairie Wind”, il vento della prateria che dà il titolo al disco, di corsa lungo sette minuti e trenta tutti younghiani in un fiume che va e viene tra passato (“Tryin’ to remember what my father said”) e presente, seguendo le volontà del Maestro Young. A chiudere, una dedica a Elvis con “He Was The King” e il gospel mistico di “When God Made Me” con Neil al pianoforte. Preghiamo che Dio lo protegga e che ci regali altri dieci dischi così. (Andrea Morandi)