MIKE OLDFIELD "Hergest ridge"
(1974 )
Il mondo gli era cascato addosso. Anche se le royalties su “Tubular bells” non è che gli fossero arrivate copiose – questioni contrattuali – il fatto è che era in testa alle classifiche da un anno, e per forza di cose tutti volevano da lui qualcosa di nuovo. E di altrettanto eroico.
E lui? Lui non sapeva da che parte sbattere la testa, perché per le campane tubolari si era sbattuto fin da quando era infante, e ora, resettato tutto, doveva ricominciare da zero. Allora, si andò a rintanare in una casupola scalcinata nella campagna gallese, si riempì di birra in un pub locale, e piano piano iniziò a comporre questa, il cui nome è appunto dedicato ad una località della zona.
Priva delle atmosfere cupe – anche perché in seguito legate alla colonna sonora dell’Esorcista – e delle emozioni del precedente lavoro, “Hergest Ridge” soffre un po’ della mancanza di un punto focale, in quello strano genere che era la lunga composizione strumentale, quasi del classic-prog-pop, in cui Oldfield si era messo a giocare. Poi chiaro: se il disco entra subito primo in classifica, e la settimana dopo viene spodestato dallo stesso “Tubular bells”, che da quelle parti ci stazionava fin dall’anno prima (e che, dopo 64 settimane nelle charts, per la prima volta toccava il top), era chiaro il concetto: puoi fare qualsiasi cosa, ma l’ombra dell’esordio ti resterà per sempre attorno.
“Hergest ridge” rimane quindi nella storia come il primo album di Mike Oldfield ad avere toccato la numero uno in Britannia – come detto, “Tubular bells” era in classifica da oltre un anno, ma si prese il dispetto di arrivare all’apice solo per togliere il secondo lavoro dalla vetta – ma fa già capire, al Nostro, che la sua carriera sarebbe stata bella, ma complicata.
Comunque sia, parliamo di un album più quieto, quasi più campestre (“folk”, come si suol dire), e forse per questo difficile da tenere a memoria. Di certo, in quegli anni, era musica comunque suggestiva, pur nel panorama di progressive e magniloquenza che girava. (Enrico Faggiano)