recensioni dischi
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GALAPAGHOST  "I never arrived"
   (2015 )

Lungi dal rappresentare un quid di sconvolgente o dal rivestire i panni della next-big-thing del songwriting all’Americana, Casey Chandler, in arte Galapaghost, è un diligente cantautore che conosce bene l’arte di coinvolgere e sedurre in punta di chitarra, grazie ad una scrittura nitida e lineare che riesce ad essere al contempo modernizzante e tradizionale. Originario di Woodstock, residente in Texas, laureato in produzione musicale, questo defilato enfant prodige dagli illustri trascorsi e dalle prestigiose frequentazioni (da John Grant a Gabriele Salvatores) si eleva brillante sopra la prevedibilità dell’intimismo folkish in virtù di una buona intensità interpretativa – mi ricorda a tratti David Gray – e di sapienti intrecci strumentali. “I never arrived”, terzo album in carriera, registrato come già i due precedenti con il supporto di amici e collaboratori italiani (Federico Puttilli su tutti), accosta a melodie sospese e riflessive alcune interessanti deviazioni – sempre garbate, mai di autentica rottura dallo stilema di fondo (“Mister mediocrity”) – incentrate su accelerazioni repentine e progressioni armoniche non scontate: bello il fingerpicking dell’opener “Mazes in the sky”, ed intrigante la title-track, arricchita da inserti di synth che lambiscono la psichedelia, splendida la murder-ballad in minore di “The science of lovers”, tanto gradita quanto inattesa l’improvvisa impennata che anima il country snello di “Salt Lake City”, geniale la concezione di “The secrets our body keeps” - Simon & Garfunkel spediti alla deriva in un coda che occupa metà della canzone -, piccoli esempi di come Casey vivifichi arie standard con minuscoli scostamenti dalla via maestra. Figlio dei ricami di Donovan più che della squadrata asciuttezza di Dylan, Chandler si muove con disinvoltura in territori che ottimamente padroneggia, su registri vocali confidenziali tra Mason Jennings e Kristian Matsson, James Irwin e Justin Vernon, esponendosi di rado a rischi di ventura, più spesso prediligendo temi dimessi in una dimensione intima e raccolta: penna intelligente, si conferma artista meritevole di una notorietà presumibilmente destinata ad accrescersi, specie se saprà guadagnare visibilità in campo internazionale sovvertendo quella timidezza che talora sembra trattenerne l’impeto ed imbrigliarne le potenzialità. (Manuel Maverna)