recensioni dischi
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MIKE OLDFIELD  "Earth moving"
   (1989 )

Testa nell’acqua, in una copertina che poteva essere simile a quella di “Disintegration” dei Cure, uscito quasi in contemporanea. Forse la voglia di nascondersi, di trovare un posticino ove capire cosa fare della propria vita, tra il successo commerciale arrivato in maniera anche eccessiva, per chi voleva stare lontano dalla ribalta, e il desiderio di non dover ricercare sempre una scopiazzatura di “Moonlight shadow”. Oltretutto, le classifiche iniziarono a non essere più così benevoli con lui: magari nemmeno gli interessava, ma il paese è piccolo, la gente mormora, e ovviamente un numero 15 di “Islands” veniva messo accanto alla stranumero 1 degli anni precedenti e faceva pensare ad un crollo delle azioni. Magari con una pistola alla tempia, nell’estate 1989 Oldfield uscì con questo album, unico esemplare nella sua sterminata discografia di disco totalmente pop, con tutte canzoni da 4 minuti, un testo e qualcuno a cantarci dietro. Compresa anche la sua girlfriend dell’epoca, tal Anita Hegerland, che scollacciata canta il singolo “Innocent”; compresa la onirica voce di Maggie Reilly, che rende soffusa “Blue night”, e compresi vari boys a rendere più energiche “See the light” e “Hostage”. Bellino, insomma, pulito pulito, incazzoso e romantico, questo disco aveva però un grave difetto: non faceva sognare. E questa, forse, è l’unica cosa che viene chiesto ad un disco di Oldfield: far volare con la fantasia, esplorare castelli in aria costruiti dalla sua chitarra, insomma. Si restava con i piedi per terra, purtroppo. (Enrico Faggiano)