GRANADA CIRCUS "Vertèbra"
(2015 )
Quartetto di origini romane, la cui notorietà di nicchia è andata accrescendosi in virtù di una intensa attività live, i Granada Circus realizzano su etichetta Warning Records “Vertèbra”, secondo lavoro di studio dopo l’interessante debutto di inizio 2012. Autori di un vigoroso, contorto, affatto scontato ibrido oscillante tra funk schizoide e strutture tipicamente indie mutuate dal post-rock di fine anni novanta, i quattro propongono una personale rilettura dell’idea primigenia che il Pop Group ebbe il merito di elevare a seminale intuizione, ossia quella di flettere in veste alternativa una musica prettamente di intrattenimento: su strade poco battute nel Bel Paese, i Granada Circus si muovono con disinvolta scioltezza lungo undici tracce caratterizzate da una scrittura intelligente ed incisiva, mai prolissa o inessenziale, da doti tecniche evidenziate senza ricorrere a virtuosismi di maniera e da una scaltra accortezza nel bilanciare suoni equilibrati ed arrangiamenti funzionali al contesto. Votati a tessiture che scopertamente trasudano un’attitudine nevrotica, se ne discostano tuttavia in virtù dell’interpretazione di Milo Trementini, voce sì efficace e rifinita, ma non sempre allineata con il taglio fondamentalmente psicotico delle composizioni: la band giunge a lambire la perfezione formale proprio negli episodi in cui il contrasto tra l’impianto sonoro e lo stile vocale adottato risulta meno stridente, tracce nelle quali il taglio espressionista (il filtrato della conclusiva “Anubi”, il recitato maniacale di “Sotto spirito”, incipit da Niccolò Contessa e chiusa à la Verdena) giova maggiormente alla resa complessiva. Istanze di disparata provenienza lasciano aperte e sospese svariate opportunità di sviluppo, dalle suggestioni albiniane dell’opener “Zero zen” alla cupa intro curesque di “Pachiderma” che riecheggia “The hanging garden” (seppure la performance vocale la conduca alla deriva in tutt’altra direzione...), dall’efficace contrappunto di “Barcelona” (i primi Diaframma?) al ficcante, squadrato bozzetto strumentale di “Sanpietro”, che insieme alla scheletrica “Indi toys” pare sondare e suggerire una allettante ipotesi evolutiva di questa solida musica in chiave post-rock. All’insegna di brani incentrati non tanto sull’immediatezza quanto sulle dinamiche e sugli intrecci ritmici, i Granada Circus si propongono come talentuosa band forse in balìa di piccoli problemi di identità, ma depositaria di un enorme ed innegabile potenziale, la cui deflagrazione pare affidata alla risoluzione di una vexata quaestio: se ambiscano a rivestire il ruolo di band alternativa (un Management Del Dolore Post-Operatorio meno dozzinale e barbarico), o se intendano optare per uno scarto deciso in direzione di una fruibilità pop (una sorta di Zen Circus più raffinati?) ancora di là da venire. In ogni caso, meritano attenzione. (Manuel Maverna)