I SALICI "Sowing light"
(2015 )
Sarà stata la primavera che faceva capolino dalle finestre; l’idea che l’indomani non m’avrebbero inchiodato per otto ore su di una sedia; un po’ questo un po’ quello, fatto sta che quei Salici riuscirono di scuotermi prepotentemente dal torpore. Mi reclamarono nel corso del pomeriggio, con un paio di cuffie cinesi adagiate in entrambi i padiglioni auricolari; insieme ce ne andammo allo stand degli abbeveraggi a farne fuori qualche razione. Per un momento che mi parve brevissimo, socchiusi gli occhi: m’arrivo la brezza del folk che spirava dalle chitarre e dai mandolini, echi di musici gitani alle prese con le trombe, melodie di sinuose fisarmoniche trafitte da canti virili e spessi, raffiche di tamburi euforici, danze, abbracci. Tornato che fui alla scrivania, andai in cerca del dettaglio: scoprii come la musica, che un tutt’uno percepii, di dieci parti era in realtà composta; che l’album in cui confabulavano assieme prendeva il nome di ''Sowing Light'', e che la band – I Salici per l’appunto – era alla sua seconda autoproduzione. All’associazione fece presto seguito una razionale, quanto immeritata classificazione. La suddetta vedeva riservare le posizioni privilegiate alle parti più fragorose e spensierate del disco (''Bee Bop'' fra tutte, come d’altronde ''Fernando e Mariutta''), scorgendo nelle stesse la natura migliore di codesti sei friulani; che ciò fosse dettato dalle condizioni in cui versava l’animo del recensore? Ad ascoltarlo ora che la sedia ha ripreso il suo posto, non posso nondimeno apprezzare le restanti sfumature: ora malinconiche (''Wild one'', ''Ocean’s outshine''), ora ammiccanti (''Round & round''); per un disco che di certo funziona tutta la settimana. E magari anche tutte le stagioni. (Andrea Pagliaccia)