recensioni dischi
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NOTTURNO AMERICANO  "Notturno Americano"
   (2015 )

Dell’inclassificabile genio di Emidio “Mimì” Clementi, anima degli ineguagliabili Massimo Volume ed artefice di svariati progetti che spaziano dal campo letterario a quello teatrale, mai si dirà o si scriverà a sufficienza. Profeta di una comunicazione a sé stante, benedetto da un illuminato talento visivo ancor prima che musicale, da oltre vent’anni Mimì è sceneggiatore di piccoli, fragilissimi film in forma di canzoni recitate, composizioni i cui elementi fondanti si compenetrano senza che alcuno di essi possa ritenersi eludibile. Col trasporto dovuto ad una sorta di mai celata ossessione – forse meglio: morbosa fascinazione – per la tormentata figura di Emanuel Carnevali, sventurato e controverso scrittore italiano emigrato negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso, in cerca di una fortuna solo in piccola parte acquisita, Clementi dà vita e sostanza ad una narrazione di cui affida la determinante colonna sonora alla coppia formata da Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi (Giardini di Mirò), col supporto della cui nostalgica sensibilità ripercorre il calvario personale di Carnevali nei difficili, interminabili anni fra il 1914 (l’arrivo a New York, solo diciassettenne) ed il 1922 (il ritorno in Italia). Meravigliosamente assecondato dalla tenue filigrana che innerva le trame intessute dai suoi sodali, Emidio ricostruisce con un realismo che brilla per spoglia crudezza e fatalistica disillusione alcune della tappe salienti della permanenza di Carnevali oltreoceano, con particolare attenzione agli aspetti maggiormente eroici della ostinata, istintuale sopravvivenza in una metropoli barbarica e maleodorante, tra esempi di una umanità tanto variegata quanto immancabilmente bassa nella sua belluina propensione alla sopraffazione del debole. Morta la pietà, resta l’homo homini lupus, un bestiario senza redenzione di spietato individualismo a sciorinare un inesauribile campionario di ansie ed incertezze descritte con capillarità tanto scenografica da materializzarne i martoriati protagonisti in una luce deformante. La nitidezza immaginifica di questo vivido bozzetto restituisce un ritratto di Carnevali storpiato da angosce e miserie, finanche dalla follia che ne divorerà gli anni del rientro in patria fino alla prematura scomparsa, avvenuta a soli quarantacinque anni in solitaria, ritirata agonia. “Notturno Americano” acquista le sembianze di un film biografico punteggiato di sequenze indimenticabili, da quella dell’approdo a New York alla maniacale descrizione della città attraverso la sua toponomastica, passando per cambi di scenario (“Chicago”, che muta il luogo, ma non la sostanza nè l’opprimente senso di strisciante sporcizia in cui si dibattono le umane vicende), ed isolati lampi di sopraffina, rarefatta poesia (“Chanson de Blackboulé”, sei minuti di vibrante rallentamento trafitto da una struggente aria mariachi in minore) che traghettano l’opera verso il drammatico epilogo di “Carnevali a Milwaukee”: in un racconto che sa di povertà, fame e polvere, di fallimenti e disperazione, della resa incondizionata di un uomo solo, indomito ma perdente, un bistrattato eroe romantico che è parte per il tutto, granello risucchiato nell’ingranaggio, Emanuel diviene infine cavaliere disarmato che si offre – umiliandosi per una briciola di gloria - al pubblico ludibrio nella plaza de toros di un bar di provincia, vittima sacrificale di una vita che mai lo ha amato nè gli ha offerto possibilità di redenzione. Tragicamente prevedibile nella sua ineluttabilità, quella sgranata come un rosario rotto in “Notturno Americano” è la cronaca di un involontario degradation trip che assume i toni e le sfumature di un martirio designato, mai così vicino, mai così reale. Capolavoro. (Manuel Maverna)