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NOEL GALLAGHER'S HIGH FLYING BIRDS  "Chasing yesterday"
   (2015 )

Se nella scialba operazione Beady Eye lo sciagurato discoletto Liam è riuscito nella vituperabile impresa di dissipare anche quel briciolo di dissennato talento toccatogli in sorte, il buon Noel, fratellone saggio di casa Gallagher, ha di sicuro dato miglior prova di sé nel sophomore album del suo side-project “Noel Gallagher’s high Flying birds”, mostrando che non di solo fracasso vive l’uomo, Oasis (e Beady Eye) compresi. “Chasing yesterday” è un buon disco, ça va sans dire, un album che strappa il sei in pagella con la furbizia di chi tra i banchi si faceva bastare la spiegazione del prof senza nemmeno dover aprire il libro a casa, disco che inconfutabilmente si lascia ascoltare non senza invogliare – nemmeno tanto sporadicamente – al riascolto delle tracce più catchy, poco conta quali e quanti siano i rimandi ad una musica sì immarcescibile, ma a dir poco abusata nel suo ricorso pedissequo ad un trito linguaggio abitudinario. Questione di aspettative, in fondo: inutile chiedere la luna al buon Noel, tanto vale accontentarsi dei soliti accordi, che giungono puntuali come una scadenza bancaria, incastri oliati ad arte e mille volte ripetuti, ma pur sempre zampate di classe che non in molti possono concedersi, tanto più fregiandosi di un trademark esclusivo. Cala subito l’asso, il buon Noel, coi cinque minuti di “Riverman”, quattro battute che riecheggiano al millimetro l’incipit di “Wonderwall” in un' immaginaria versione fra Tears for Fears e Paul Weller, salvo poi deviare in un fascinoso ibrido laid-back di soul bianco trafitto da un paio di pregevoli soli di chitarra; doppia il colpo col passo irresistibilmente baggy del singolo “In the heat of the moment”, tre minuti e mezzo da mandare a memoria con quello sfacciato coretto à la Blur di “Charmless man”; gioca l’atout della ballata in “The girl with x-ray eyes” (i primi quindici secondi sono “Stairway to heaven”, suvvia Noel!) e spara l’ultima cartuccia con la bordata noisy di “Lock all the doors”, sulla prima strofa della quale si riesce a cantare senza difficoltà il testo di “Morning glory” prima che il ritornello la porti furbescamente a spasso nei dintorni della strada maestra. Da lì in avanti il buon Noel perde la bussola e gigioneggia con improvvida slackness fra il mainstream à la James Blunt di “The dying of the light”, la lounge deboluccia di “The right stuff” e la superflua “While the song remains the same” (nomen omen), in un trittico che deprime l'andazzo generale invitando allo sbadiglio. Ma in cauda venenum, e ci pensano il giro monocorde di “The mexican”, con un bel chorus cattivello da Marc Bolan, la sassata up-tempo in 4/4 di “You know we can't go back” (Paul Westerberg meets The Police) e la ritmica incalzante della conclusiva “Ballad of the mighty I” (ospite Johnny Marr) a rimarcare il territorio per il gran finale, resurrezione in extremis che regala ad un buon disco quel mezzo punto in più in un compito in classe certo non memorabile, ma abbondantemente sopra la media rispetto ai compagni di corso. Liam – per la cronaca – ha preso sicuramente un bel 4, ed è ciò che conta. Il buon Noel è promosso, con buona pace della famiglia Gallagher. (Manuel Maverna)