recensioni dischi
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MUSE  "Black holes and revelations"
   (2006 )

Il quarto disco dei Muse abbandona in parte le atmosfere da qualunquismo apocalittico orribilmente classicheggiante per ripescare del pop-rock elettrico degli esordi, ma non solo. Il gruppo cerca nuove vie, tenta di ampliare il proprio raggio d’azione; impossibile non porsi dubbi dopo il passo falso di 'Absolution', che faceva intravedere un’obsoleta tendenza a comporre canzoni banali e fatte “a stampo”. Il singolo che lancia il disco, lasciando stare i gusti, non si può non definire originale. “Supermassive Black Hole”, con il suo riff epidermico e il suo falsetto volutamente sdolcinato, molto meglio che quelli agrodolci e noiosi del disco precedente, si pone come un ibrido rock moderno, un ipnosi da discoteca, tra le eco discendenti e le distorsioni più luccicanti; un brano avanti. Purtroppo non tutto il disco è così; il synth che introduce “Take a Bow” sa di già sentito e la melodia è ancora peggio; i Muse vogliono fare musica toccante, ma non sono i Radiohead. Il brano si dimostra poi nemmeno malaccio, soprattutto nel crescendo elettronico, ricco di tensione. La melodia banale di “Starlight” si basa su un impasto di fondo discreto; rovinato dall’appeal troppo easy del cantato. Stessa sensazione suscitata da “Invincibile”, forte di un ritmo marziale e di musicalità tenui, rovinate dalla melodia insulsa. “Soldier’s Poem” è solita triste ballata senza nessun sussulto emotivo. Le trame si fanno più interessanti con “Map Of The Problematiquè”, un affascinate intreccio di chitarre ed elettronica dalle sonorità distese e ben equilibrate. “Assassin” è bel rock, affannato forse nel refrain, ma abbastanza slanciato nel macinare ritmi furenti. L’epico riff di “Exo Politics” è forse il migliore del disco, stesso discorso non si può fare per la melodia che si dimostra in questo lavoro il punto debole del gruppo. Dispiace vedere come brani discreti di rock elettronico vengano continuamente rovinati dal songwriting stantio di Mathew Bellamy. “City Of Delusion”, sfuggente mix di psichedelica sintetica e armonie latineggianti, sarebbe stata un capolavoro, messa nelle mani dei musicisti giusti. “Hoodoo” fa capire che i Muse, privati della voce lamentosa di Bellamy, sarebbero potuti essere benissimo il nuovo punto di riferimento per il prog-rock. Ma purtroppo non tutte le favole hanno un lieto fine e dobbiamo accontentarci dei sei splendidi minuti di guerra trasposta in musica che vanno a formare “Knights Of Cydonia”, forse l’unico vero brano degno di essere ricordato in questo disco, insieme al primo singolo. “Black Holes & Revelations” è un album sintomatico dei problemi del gruppo; le potenzialità per diventare qualcuno ci sono ma nella maggior parte dei casi vengono sciupate a favore di un pop rock dannatamente insulso e maleodorante. È ora che i Muse imparino a gestire le loro capacità. (Fabio Busi)