MATINÉE "These days"
(2014 )
Italiani di nascita e londinesi di adozione dal 2010, i quattro Matinée, origini abruzzesi ed una passione dichiarata per il brit-pop, hanno guadagnato negli anni una discreta notorietà in terra d’Albione come tribute-band dei Franz Ferdinand (ai quali devono sia il proprio nome, sia l’evidente ascendenza), giungendo alfine, con il supporto della illustre produzione di Tony Doogan, all’agognato traguardo del debutto discografico per l’etichetta scozzese Neon Tetra Music.
Benché caratterizzato da una derivatività addirittura eccessiva, questo disco, il faut se dire, è davvero eccellente nella sua funzione di intrattenimento leggero: venato di una evidente urgenza creativa mai artefatta, fluisce privo di asperità, inciampi o passi falsi, invogliando al riascolto immediato quando l’eco della decima ed ultima traccia (“40 years old”, in perfetto stile Libertines) ancora stenta a spegnersi.
Dicevamo puro brit-pop della seconda (terza? Quarta? Millesima?) fase, pronipote di Kinks e compagnia cantante, ma comunque molto smart nella sua indole dandy, con ganci assassini, verve contagiosa e un tiro irrefrenabile, “These days” è prodotto intrigante, ben scritto ed ancora meglio interpretato, disco furbetto che sapientemente gestisce dinamiche, incastri ed armonie con il piglio sicuro di un manipolo di veterani.
Certo, ci vuole coraggio per assumere come riferimento modelli già discretamente superati, dai più che ovvi Franz Ferdinand (in parabola discendente?) ai non indispensabili Kaiser Chiefs passando per i primi Bloc Party, ed ancor di più occorre una buona dose di sfrontata incoscienza per infilarsi a fare brit-pop in casa di chi il brit-pop l’ha inventato e – probabile – anche già lasciato alle spalle, almeno in certa veste; e ci vuole fegato, infine, per farlo in Inglese, scelta stilistica che riflette un orientamento d’arte e di vita ben preciso.
Avessero optato per un cimento con l’Italiano, anzichè replicare il già esistente Oltremanica o Oltreoceano (i Killers di “Hot fuss”, ad esempio, o i Panic at the Disco) avrebbero forse potuto colmare una delle più grandi lacune della scena nostrana: la mancanza di una credibile (indie-) pop band che sappia occupare quella nicchia sfitta tra l’abrasività off degli Afterhours e la melassa da cuore/amore di Negramaro e Modà.
Ma i ragazzi sono in gamba, e il disco funziona a meraviglia. Poco importa che sul chorus di “White lies” – pezzo irresistibile nel suo andamento così baggy – si possano accennare sia quello di “Banquet” dei Bloc Party che quello di “Somebody told me” dei Killers; ininfluente che nella title-track sembri di trovarsi al cospetto di Jarvis Cocker che coverizza “Can’t hardly wait” dei Replacements. E a nulla vale constatare come lo sfavillante opener “Bigger picture”, che inizia in sordina su una cadenza sintetica prima di lasciarsi accarezzare dal canto filtrato di Alfredo Ioannone, sfoci in una melodia à la Editors (il ritornello ricorda l’inciso di “Papillon”): l’album rimane godibile nella sua fresca immediatezza, infilando la sassata in minore di “City lifestyle” (uh, ancora i Kinks!) e la cadenza danzereccia di “All the good fella’s” (la loro “Take me up”), la ballata à la Belle and Sebastian di “Missing pieces of a jigsaw” ed il chitarrismo lacerato di “Said I”, il tutto con la sciolta naturalezza e la navigata nonchalance dei più consumati mestieranti.
Personalmente continuo a preferire i maestri ai giovani allievi, studiosi e diligenti sì, ma rei di ripetere la lezione a memoria; forse i Matinée naufragheranno nel mare magnum di un genere che ha già espresso quello che aveva da dire, oppure otterranno il riscontro che meritano. Per ora, tutto ciò che è dato sapere è che sono semplicemente bravi, e che tra un paio di minuti farò ripartire “These days” dall’inizio. (Manuel Maverna)