ANTHONY CEDRIC VUAGNIAUX "Le clan des guimauves"
(2014 )
Strano soggetto, Anthony Cedric Vuagniaux: mente vulcanica stretta in una nicchia fra tradizione e visionaria sperimentazione astratta, il poliedrico trentasettenne compositore di origine elvetica, multistrumentista animato da una viscerale passione per le sonorità e le tecniche di registrazione vintage in voga tra gli anni ’50 e gli anni ’70, dispensa nella sua ultima fatica uno spiazzante compendio di arte varia e stratificata. Difficile da assimilare se considerato come semplice prodotto discografico, “Le clan des guimauves” va piuttosto inteso come un percorso da coprire (pre)figurandone la valenza immaginifica che ne fa un soundtrack variegato dai molteplici riferimenti - più o meno espliciti - al mondo del cinema, influenza dichiarata ed inesauribile fonte di ispirazione per il ginevrino. In un’atmosfera cangiante che coniuga sci-fi ed arie morriconiane (“La morte de Naive”, “Adieu au clan”), spy-story e Francis Lai (“La naissance des cambrioleurs”) così come suggestioni jazz e qualche eco zappiana (“Alphonse le soliste”, “Mon corpse est une arnaque”), Vuagniaux inscena un pastiche che disorienta sì nella sua frenetica ricerca di una capillare disomogeneità avanguardistica (“L’enfant sirène”), ma cade purtroppo nella trappola di una talora eccessiva ed inessenziale frammentarietà. Quindici tracce per trentadue minuti di musica che suggerisce, concede e al contempo sottrae appigli, “Le clan des guimauves” è un caleidoscopio impazzito che gioca con frammenti di luce ed ombra, oscillando incerto tra un valzer truccato (“Le maitre nageur”) e la grottesca caricatura degli chansonnier (“Le tango du maitre chanteur”), un’opera per lo più inconsistente che, forse, è null’altro che sé stessa in senso dadaista, forse – al contrario - soltanto un guazzabuglio confusionario che vorrebbe dire molto, ma non dice un granché. (Manuel Maverna)