recensioni dischi
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SPLATTERPINK  "Mongoflashmob"
   (2014 )

In un mondo parallelo, allucinato e rovesciato, i bolognesi Splatterpink hanno degnamente rappresentato per buona parte degli anni ’90 una realtà tanto ostentatamente off quanto all’avanguardia nel panorama indie italico, sciorinando un intento smaccatamente artistoide accoppiato ad invidiabili doti tecniche, messe al servizio di una creatività espressionista decisamente borderline. Stivati in una mai abbandonata nicchia tra Frank Zappa e John Zorn, tra i Primus (lo stile variegato e indemoniato del bassista e leader Diego D’Agata ricorda giocoforza quello di Les Claypool) e la no-wave newyorchese, gli Splatterpink tornano col loro quarto album di studio a ben quindici anni di distanza da “#3”, che nel 1999 aveva aperto ufficialmente la temporanea sospensione delle attività del gruppo ed il varo di alcuni side-project altrettanto significativi (Testadeporcu su tutti). “Mongoflashmob” – dieci brani per ventotto indefinibili minuti di nevrotica tensione e stralunata ispirazione - conserva intatti i crismi del loro personalissimo stile, imperniato su una scrittura arzigogolata ma concisa oscillante tra free-form, impro-jazz, hardcore e rare sortite all’insegna di un post-punk vagamente accessibile (l’amena pantomima surreale di “Sting”), riproponendo intatta un’idea di arte per l’arte sospesa tra divertissement (“Leccaculo”) e testi nonsense (“Terratron”), talora trafitti da un turpiloquio delirante ma funzionale all’intento perversamente anthemico (“Dolan Aproevd”). Fedele ad un credo che scherza lucidamente col fuoco, la band macina imperterrita il suo claustrofobico, veemente pastiche di repentini mutamenti scenici e furiose schegge ritmiche in un caleidoscopio di sinistre invenzioni percosse da progressioni velenose e violente, un acido martellamento senza pause che non concede appigli sicuri nè punti di riferimento. Musica di rottura che mal si presta a catalogazioni di sorta o a facili manifestazioni di gradimento, quella degli Splatterpink rimane una formula tanto estrema quanto – per ciò stesso – intramontabile: a patto di apprezzarne l’intima insània che lo anima, “Mongoflashmob” è un lavoro che disvela nuovamente il volto troppo a lungo nascosto di una band con nessun eguale in Italia, collettivo di incrollabile coerenza artistica da sempre refrattario a svendere il proprio talento visionario alle logiche consumistiche del mercato. (Manuel Maverna)