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QUINTETTO ESPOSTO  "Al pianterreno"
   (2014 )

Interessanti, questi cinque ragazzi bresciani dal nome bizzarro, soprattutto per come riescono ad infondere vitalità ad un cantautorato folkish tanto classico e scopertamente dichiarato - per intenti e ascendenze - quanto gradevolmente rivisitato in chiave modernizzante grazie ad arrangiamenti intriganti e ad una scrittura mai banale. Fra ritmi sostenuti di stampo popolare, con influssi che vanno da suggestioni transalpine (splendida la “Ballata del naufragio”, su una ritmica insistentemente fratturata ed esitante) a svariate progressioni latineggianti (“Gitana”, “Corrida di anime”, “Capri”), fino a certo jazz disimpegnato (emblematico quello de “La vecchia Betsie”, che sarebbe stata perfetta in una veste più bislacca e scomposta), “Al pianterreno” offre una vivida panoramica di vita variopinta tra volti e luoghi che appartengono al sogno, alla memoria, all’immaginario, un ricettacolo di esistenzialismo naif condito da un romanticismo di fondo garbato e suadente, album ben suonato ed egregiamente prodotto. Sfruttando un impianto generale che rimanda al primo Vinicio Capossela (ma alzi la mano chi non ha avvertito più di una eco di Sergio Caputo), citato esplicitamente in “Chiamata alle arti” e indirettamente sulla deliziosa “Per Elizabeth”, con una toccante chitarra jazzy a contrappuntare lo swing contagioso, la band dà scintillante prova di sé sia dal punto di vista compositivo sia nel lavoro di cesello operato sui testi: se gli otto minuti e mezzo della title-track, metà della quale è occupata da una ammaliante coda strumentale con qualche suggestione del De Andrè etnico dell’ultimo periodo, riescono ad affascinare senza ripetersi grazie ad una ispirazione elegante ed avvolgente, non sono liricamente trascurabili i testi, mai schiavi di una verbosità che sarebbe stata facile trappola ed inessenziale, controproducente inciampo (fa forse eccezione la sola “Notti di liquore”, autoreferenziale peccatuccio giovanilistico). Volendo scandagliare più a fondo questa colta brillantezza, si potrebbe auspicare la ricerca di una più spiccata personalità nello stile di canto, che tratta ogni traccia allo stesso modo (ivi compresa la vibrante ballata conclusiva di “Sipario”), rinunciando a picchi emotivi o guizzi interpretativi capaci di conferire una maggiore vitalità ad un crooning di bella profondità timbrica, ma eccessivamente lineare e poco diversificato nei vari episodi. Inoltre le canzoni, benchè impeccabilmente costruite con un invidiabile equilibrio nelle dinamiche, nelle misure e nei tempi, mancano forse di un briciolo di incisività che le renda non solo piacevoli, bensì memorabili in senso stretto: manca – per ora, ma la band è giovanissima e talentuosa - il pezzo capace di fare la differenza, quello che passa alla radio una mattina presto, o quello che scopri per caso su youtube, e che ti fa trascorrere una giornata a ripescare nel cassetto della memoria il nome della band e il titolo di quel pezzo che ti gira in testa come una malattia. Poco male: il Quintetto Esposto è una realtà da non sottovalutare, che dimostra con questo lavoro intenso e già maturo di possedere tutte le doti necessarie per imporsi all’attenzione di un pubblico attento ed esigente: gioverebbe forse soltanto quel filo di coraggio in più, ma il tempo saprà senz’altro essere galantuomo. (Manuel Maverna)