INTERPRETI VARI "Xena tango"
(2014 )
Il progetto “Xena Tango” vuole raccontare e sottolineare il contributo della cultura genovese nella Storia del Tango argentino. Presentato in anteprima nazionale dalla città di Genova, nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, il progetto è composto da un album (in uscita in questi giorni) e un libro (la cui pubblicazione è prevista per la fine di ottobre; lo stesso giorno uscirà anche una confezione DvdPack contenente cd e libro insieme).
Come si legge in un estratto dell’introduzione al libro firmata dalla giornalista Ida Guglielmotti, “Se il tango avesse una carta d'identità ufficiale, probabilmente ci sarebbe scritto ''nato in Argentina da genitori
genovesi‟. Non sorprenda questa affermazione, anche se, quando parliamo di tango, pensiamo all’Argentina come alla terra che ne ha visto la genesi. Ma, appunto, forse l’Argentina è stata testimone e nutrice, ma non genitrice del tango. Forse questo genere musicale e questa danza sono stati generati da un insieme di sentimenti, attitudini, tradizioni, sudore e lacrime di quanti, già a partire dalla metà dell’800, attraversavano il mare verso un mondo nuovo.
Per circa un secolo, fino alla metà del '900, un flusso quasi costante di emigranti si è spostato verso Stati
Uniti e America Latina e, tra i primissimi, sono i liguri a spingersi verso Argentina, Brasile e Uruguay. E’
soprattutto nel quartiere di La Boca,
alla periferia di Buenos Aires, che i genovesi si insediarono
massicciamente, portando con sé tradizioni, usi, costumi e anche strumenti musicali, coi quali, trovandosi
insieme la sera, evocavano la nostalgia per la patria lontana e gli amori perduti. Ma soprattutto si portavano
dietro la lingua delle radici, il dialetto, che per molti decenni è stato la lingua ufficiale, anche se non
istituzionale, della comunità genovese a La Boca.
Gli abitanti di La Boca si chiamavano e si chiamano
tuttora “zeneizi”, e zeneizi si definiscono ancora i tifosi della principale squadra di calcio argentina, il
Boca Juniors. Ma è molto probabile che la maggioranza di questi ignori che zeneize significa genovese.
In una relazione del viceconsole sabaudo Carlo Belloc del 10 febbraio 1851 c’è quella che probabilmente è
la prima testimonianza in assoluto della presenza dei genovesi e dell’uso del loro dialetto alla Boca del
Riachuelo. Scrive Belloc: “Chi si fosse trasportato al suburbio di Buenos Aires denominato Boca, una
piccola città di duemila anime esclusivamente popolata da liguri, quasi interamente composta
d'uomini adulti, si sarebbe, per incantesimo, illuso, udendo il dialetto genovese, generalmente
usatovi, di vivere sul litorale della solerte Liguria”. E poiché in questo quartiere di Buenos Aires non si
parlava l’italiano ufficiale, ma solo il dialetto, quella che si sviluppò fu una lingua mista di spagnolo e
vernacolo, chiamata convenzionalmente “cocoliche”, e da questa molti termini furono assimilati nel
patrimonio linguistico ufficiale, che, nel tempo, si è arricchito anche di altre espressioni derivate dal gergo
della malavita, il “lunfardo”. Questo termine si allargò poi ad indicare il linguaggio popolare di Buenos Aires,
in uso soprattutto tra gli immigrati. Ed è proprio
di lunfardo che si nutrono spessissimo i testi dei tanghi, alla
cui nascita la cultura popolare genovese ha fornito un contribuito essenziale. Basti pensare che le
regole
del tango, inteso come genere musicale e come danza, furono codificate nei “peringun
dines”,
termine genovese che indicava i locali da ballo de La Boca
e proprio alla Boca, quartiere dei genovesi,
pare sia stato ballato il primo tango”.
Difficile ignorare, quindi, che i genovesi siano stati, probabilmente, i genitori naturali di una creatu
ra la cui
paternità ufficiale è stata attribuita agli argentini. Basterebbe a legittimare questa ipotesi la testimonianza del
grande scrittore argentino
Jorge Luis Borges, che in “Evaristo Carriego”
ribadisce l'influenza
dell‟ambiente degli immigrati genovesi sullo sviluppo, ma anche sulla degenerazione del tango,
e
scrive che
“i vecchi criollos che inventarono il tango si chiamavano Bevilacqua, Greco, De Bassi...”.
Di certo gli argentini hanno avuto il merito di restituire a tutti il tango, compiuto e codificato. Ma tanti altri,
provenienti da luoghi diversi, alla ricerca del proprio posto nel mondo, trascinandosi dietro nelle valigie
scalcinate ricordi, dialetti,
storie,
balli e canti popolari,
speranze e
dolori, hanno battuto le strade della
musica confluite poi in una sola, quella del tango così come lo conosciamo oggi. E non c’è dubbio che, tra
queste, la strada che da Genova porta a Buenos Aires è stata la più larga e trafficata”.
Il tango ha il sapore e il mistero di un viaggio. Di qualcosa che non smette mai di andare e venire. E’ il moto
perpetuo dell’anima. La scia indelebile di chi ha navigato per l’Oceano e che continua a sentire quella
schiuma salata corrergli nelle vene. E’
per questo che le sue
canzoni hanno il suono delle parole rimaste
imprigionate nella gola: sono intrise della malinconia dei profumi e delle terre che ci si è lasciati alle spalle,
degli affetti inesorabilmente lontani. Non a caso il suo marchio musicale
è rappresentato dal bandoneon, il cui
suono ha il respiro della nostalgia per i luoghi e le famiglie da cui la povertà li ha scaraventati verso un
continente sconosciuto. Col tempo il tango è diventato una filosofia, uno stile di vita, una malattia incurabile.
Se per Borges “gli argentini ricordano le barche ormeggiate nei moli”, a quegli emigranti sembra sia stata
offerta a malapena la possibilità di tenersi a galla come dei relitti indefiniti. Una volta arrivati nei loro
porticcioli di fortuna le onde del
destino li hanno presi a schiaffeggiare senza pace, hanno logorato le loro
esistenze come cime divorate dalla salsedine, sempre sul punto di spezzarsi. Per quei milioni di “viaggiatori”
il tango ha rappresentato un nuovo pellegrinaggio nella propria anima,
dopo quello reale avvenuto sui
piroscafi con i quali, in condizioni spesso disumane, avevano attraversato l’oceano. Per questi uomini
strappati alle loro origini, il tango era diventato un suono e un ballo identitario, un ponte invisibile verso le
famiglie
lontane, il modo per raccontare la difficoltà d’integrazione, il duro lavoro quotidiano, le radici
spezzate da raccogliere e riannodare per sentirsi ancora in vita. A Buenos Aires, già nell’800, si ritrovarono
emigranti provenienti dalle più disparate zone
d’Italia. Tra le comunità più numerose c’era quella dei
Genovesi. I primi sobborghi della città furono costruiti con povere case colorate come quelle che avevano
lasciato a Genova, gli odori di farinata e di pesce si facevano strada tra i vicoli del porto, superando gli
ostacoli della miseria e della solitudine. I suoi poeti e narratori parlavano di la Boca come di un quartiere
“scenario di amore e disamore, paradiso e inferno, muri e balconi, coraggio e paura, prostituzione e vino”; un
palcoscenico che vide nascere e diffondersi in tutto il mondo quello che Jorge Louis Borges definì “una
ventata, una follia che sfida gli anni frettolosi”.
Protagonisti e arrangiatori dell'album sono due grandi musicisti di origine argentina:
Luis
Bacalov
(pianista,
compositore e direttore d’orchestra, Premio Oscar 1995 per il film “Il Postino”) e
Walter Ríos,
(bandoneonista di fama internazionale, considerato l’erede di
Astor Piazzolla). L’interprete è
Roberta
Alloisio
(cantante e attrice genovese, Targa Tenco 2011). Le registrazioni del disco si sono effettuate tra
Roma e Buenos Aires.
Il progetto esce per
Compagnia Nuove Indye, da oltre vent’anni importante punto di riferimento discografico
per la ricerca e la produzione di musica popolare e world music.
A fianco ai tanghi argentini più belli (“El dia que me quieras” di
Gardel
, “Caminito”
di
De Dios Filiberto
ed
“El Choclo” di
Villoldo, tra gli altri), tanghi nuovi scritti da a
utori e compositori genovesi (Giorgio Calabrese,
Vittorio De Scalzi dei New Trolls,
Carlo Marrale dei Matia Bazar e
Gian Piero Alloisio),
mentre
l’argentino
Pablo Banchero,
cantore ufficiale de La Boca ed astro nascente del nuovo tango argentino, firma due brani
insieme a
Roberta Alloisio.
Il disco
include inoltre un inedito del Maestro
Umberto Bindi,
l’inno dei Liguri nel Mondo “Italiani d’Argentina”
di
Ivano Fossati,
e un brano scritto dal corso
Stephane Casalta.
Completa l’album un elegante booklet di 40 pagine ricco di foto e corredato dai testi
delle canzoni (in
spagnolo, genovese, italiano ed inglese) e dalle informazioni sulla genesi dell’opera.