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RED HOT CHILI PEPPERS  "Stadium arcadium"
   (2006 )

I Red Hot Chili Peppers non sono più una band di rock alternativo almeno da 'Californication'. Questo va detto perché recensire un disco continuando a ripetere “dove sono i vecchi RHCP?” non ha senso. I Chilis hanno cambiato stile, o meglio, hanno cambiato la finalità per cui fanno musica. Se prima la musica era un modo per liberarli dai loro problemi e incubi (Hillel Slovak morto nel ’88), adesso non è nient’altro che un lavoro. Ma questa non è una novità. È dal ’91 che i RHCP non fanno più funk come si deve e che hanno una forte attitudine commerciale. Chi parla di 'By the Way' come la loro svolta commerciale si dimostra incompetente e disinformato. Ora, arrivati a 'Stadium Arcadium', non si può negare che i Peppers abbiano messo tanta carne sul fuoco. Se 'Californication' era un altalena tra pezzi gradevoli e altri un po’ artificiosi e forzati, 'Stadium Arcadium' ('By the Way' non lo prendo nemmeno in considerazione perché musicalmente irrilevante) si presenta come una grande giostra in cui non si scende mai troppo in basso, ma non si tocca nemmeno il cielo. È una sorta di breviario dei Red Hot. Non mancano certo le ballate pop come “Strip My Mind”, “Hey”, “Desecration Smile” e “She Looks To Me”. Si denota comunque il fatto che in questo disco anche le canzoni più banali sono risollevate, almeno in parte dalla splendida chitarra di John Frusciante. Infatti nel disco precedente molti brani, oltre che noiosi, erano musicalmente monotoni. In questo lavoro invece la chitarra riesce sempre o quasi a vivacizzare il tutto e, in ogni caso, non ci sono canzoni del tutto inutili. Altri esempi meno riusciti sono “If”, “We Believe” e “Animal Bar” davvero troppo zuccherine e ridondanti. A fianco di queste canzoni tipiche dell’ultimo corso del gruppo ci sono altri pezzi in stile funk, assolutamente ripulito e poco sincero, ma comunque funk dai ritmi irresistibili. “Hump De Bump” è una delle migliori canzoni funk del loro ultimo decennio, con il suo ritmo allegro e deciso e l’intermezzo percussivo davvero forte; “She’s Only 18” si fregia della chitarra superba di John nel wah-ha; “Warlocks” è semplicemente un buon pezzo, non male ma nemmeno troppo originale; “So Much I” è forse un po’ forzata, ma anche trascinante e abbastanza adrenalinica, “21st Century” è un bel pezzo convincente, ennesimo punto d’uncontro tra le ritmiche trascinati del passato e la dolcezza del presente; “Turn It Again” è l’ennesimo pezzo impreziosito dalla chitarra, qui morbida e veloce, fino a diventare tagliente e molto dinamica. Si nota qui un maggiore impegno nel riproporre (soprattutto per i fans di vecchia data) il loro tipico stile. Non sono certo canzoni sincere come era quelle dei primi cinque cd, ma comunque davvero pregevoli e anche orecchiabili. Ma non è finita; i Peppers non si fanno mancare niente, sia esso segno di auto indulgenza o di creatività, e infarciscono il doppio di pezzi rock-pop, abbastanza semplici e per niente eccellenti; il primo singolo “Dani California” accenna solo il loro stile, “Tell Me Baby” è praticamente l’up-date di “Can’t Stop”, “Make You Feel Better” è davvero troppo ingenua. Penso che questo sia il loro lato peggiore, un pop-rock abbastanza insignificante. Incredibile ma vero, ci sono anche canzoni ispirate al rock duro; “Torture Me” è una bella canzone, abbastanza veloce, ottimo giro di basso e batteria incalzante, con i fiati che danno un tocco di originalità e ironia; “Readymade” ha un giro di basso poderoso e un assolo ai limiti del metal, esplosiva, ma distesa nel ritornello; “Storm in a Teacup”, uno dei pezzi più riusciti, assomiglia molto all’hard-rock di One Hot Minute, divertente e auto ironico, con la chitarra irresistibile come al solito. Non manca qualche esperimento, le ballate scanzonate come “Slow Cheetah” e “Hard To Concentrate” sono un inedito o quasi. Delicate, ma decise, con un forte retrogusto amaro, si differenziano dalle altre per la loro intimità e portano con loro emozioni personali. C’è la forte influenza di Frusciante, con il suo rock vagamente psichico (non psichedelico); “Stadium Arcadium” e “Especially In Michigan” ne sono l’esempio; la prima molto ariosa ed evocatrice con suoni delicati e echi soffusi, senza perdere in ritmo, è un buonissimo risultato, la seconda densa e ricca di intarsi di chitarra elettrica (con l’aiuto di Omar Rodriguez). Ma le canzoni più belle le troviamo quando i RHCP non ci pensano a ciò che stanno facendo e suonano per come sono ispirati. “Snow” è una canzonetta pop, con un arpeggio di chitarra veloce che ti conquista dopo pochi ascolti. Perfetta nel crescendo e nel cambiare tono in modo discreto. “Charlie” è un pezzo che viaggia parallelo a qualsiasi genere musicale. Indefinibile e bellissima. È un pezzo di assoluta pregevolezza. Ben ritmato, divertente ma anche languido. “Wet Sand” è forse il miglior pezzo del doppio. Una ballata, dolce come la brezza, ma anche scottante come il sole d’estate. E’ un manifesto per il gruppo; il punto di arrivo di una ricerca partita nel ’99. La perfetta sintesi del nuovo corso Frusciantesco; la sua chitarra nel solo finale, pare che gridi, disperata e felice, sotto una pioggia estiva. “Death Of a Martian” è un piccolo requiem; ha un suono doloroso e rabbioso, nella sua dolcezza. Con i suoi cambi di tempo e il discorso finale è la conclusione perfetta per il cd. In conclusione, un discreto lavoro. Il gruppo ha deciso di intraprendere una nuova strada nel ’99, questo disco ne è la semplice conseguenza. Non ci sono pezzi orrendi, ma sono pochi anche i pezzi davvero stupendi. Piuttosto si opta per uno standard medio, in cui la chitarra regna sovrana, i refrain sono sempre orecchiabili (anche troppo a volte) e non si rischia mai di infastidire o rompere gli equilibri, cosa che in passato il gruppo faceva molto spesso. Ma un disco va valutato nel suo contesto. Io lo valuto come un disco più che sufficiente, anzi discreto. Certo, se volete sentire un loro capolavoro, cercate altrove, ma resta il fatto che 'Stadium Arcadium' è un disco che suona bene e che dimostra l’impegno del gruppo e per una band di quarantenni non è affatto un cattivo risultato. (Fabio Busi)