AIRPORTMAN "David"
(2014 )
Il sonno. Il dormiveglia. Il risveglio. “Il mattino”, la chitarra, il piano, le percussioni. È l’intro di un album, lo strumentale “David” degli Airportman, d’una confessione un po’ post rock, un po’ dream pop, un po’ prog. Senza disdegnare psichedelia e Sigur Rós (perdonate la piccola digressione, ma pare sempre riduttivo classificare il gruppo islandese in un solo genere). E “Il mattino” è lento, ansioso, difficile. La parte centrale, in cui è la batteria, segna il risveglio. Qualche lieve distorsione, poi il collegamento e il viaggio in sei minuti attraverso “Le note di Nick” in un microcosmo parallelo, in un’altra dimensione, in atmosfere space rock, con un tono solenne, elevato. Le percussioni e il piano scandiscono i passi di un cammino che porta alla visione de “I fotogrammi”, in un ambiente più intimo. La chitarra e il piano dettano i tempi di un itinerario nel cantuccio degli Airportman, brano che, poco oltre la metà, s’arricchisce del basso che racconta le inquietudini vissute in un mondo misterioso come “David”. Il suddetto pezzo consiste in una sorta di punto di rottura dell’album, che segue un crescendo verso una sfera decisamente meno sentimentale. Si fanno più energiche, meno sognanti e riflessive le sonorità sotto “Le tende bianche”, brano dall’animo un po’ più combattivo, sanguigno, che lascia presagire che il disco possa proseguire su questa scia prima che “Il battito di ali” conduca nuovamente in una dimensione spirituale, quasi mistica, con i suoi continui cambi di ritmo, pur ben “oleati” fra loro. Tutt’altro che “Il silenzio assoluto” in chiusura: in otto minuti c’è spazio per il rock e per la psichedelia, per la rabbia e per l’angoscia. Ma è il piano a far calare il sipario su un album complesso, ma affascinante, per palati fini, ma da divorare in un sol boccone. Biglietto andata e ritorno per un viaggio, in quaranta minuti circa, attraverso percezioni sensoriali contemporaneamente fulgide e tenebrose, che inizia al mattino e termina con un silenzio assoluto preannunciato dolcemente dal pianoforte. (Piergiuseppe Lippolis)