DADO MAGNETICO "Metaphysical entertainment"
(2014 )
Musicista di differente estrazione rispetto al sottobosco rock nel cui ambito attualmente si colloca, il multistrumentista barese – chitarrista di elezione - Davide Penta, di formazione jazzistica e di variegati trascorsi artistici, ha varato nel 2012 l’operazione Dado Magnetico, moniker che cela – di fatto – un progetto solista votato all’esplorazione di un visionario connubio tra indie-rock ed atmosfere di scoperta matrice psichedelica. In un idioma inglese dalla pronuncia talora rivedibile (ed è un vero peccato), intelligentemente mascherato dal ricorso insistito alla distorsione della voce, filtrata da effetti che accrescono il tono sinistramente sciamanico dell’insieme, Davide interpreta con alieno distacco quattordici tracce oblique arricchite da un sapiente lavoro sulle dinamiche, sui suoni, sui contrappunti, sul ritmo; il passo di questi brani racchiusi in trentatre concisi minuti di stordente intensità, ritmicamente sostenuti ed armonicamente imprevedibili, confonde ed ammalia grazie all’impiego ubriacante di una pletora di sapienti sotterfugi, in un percorso non lineare che si snoda tortuoso tra reminiscenze vetero-pinkfloydiane (“Pandora’s pot”), accenni western (“Psychoanalysis”), retro-psichedelia in veste sci-fi (“Android spy: emotions and report”), stomp sudista (“Jack Santini”), acid-rock tardo 60’s (“I’m looking for a guru”), improbabili echi beatlesiani in salsa Alan Parsons (“Wrong landing”), ed infinite altre schegge disseminate come indizi in un caleidoscopio impazzito. Prevalgono ovunque scenari a tinte fosche ed una sottile, deviante aura malsana, palpabile nella spettrale cadenza trascendente della velvetiana (col canto etereo di Giuliana Schiavone che ricorda più Hope Sandoval che Nico) “Claustro-toilet’s thoughts and beyond”, sbilenco raga tossico condito da pause albiniane, o nelle bordate noisy di “I swallow”, monolite à la Ty Segall con inserti assordanti ad accrescerne spasmodicamente la tensione emotiva. Disco che possiede sia le idee, sia la creatività necessaria a veicolarle, sia le canzoni giuste per cercare di guadagnare uno spicchio di luce anche sulla ribalta internazionale, “Metaphysical Entertainment” è album intrigante solo velatamente derivativo, lavoro intelligente ed appetibile al quale forse avrebbe giovato – ma è un cavillo inessenziale – un maggiore sfoggio di personalità espressiva nel canto, che non sempre asseconda a dovere le trame oscure ed inquietanti suggerite da uno stile compositivo estremamente personale, ricco, maturo. (Manuel Maverna)