MARC ALMOND "Mother fist and her five daughters"
(1987 )
Icona gay suo malgrado, cantante dotato di un timbro vocale meravigliosamente stentoreo, personaggio la cui celebrità è più che altro legata ai trascorsi con David Ball nei Soft Cell, l’immarcescibile Marc Almond da Southport, Inghilterra, propone da oltre trent’anni un cocktail melodrammatico di intense ballate danzerecce condite da interpretazioni istrionicamente teatrali, talora forzate al limite del kitsch, sempre immancabilmente sopra le righe. Quello di “Mother fist and her five daughters” (titolo ispirato ad un racconto di Truman Capote, esplicitamente omaggiato nelle note di copertina), album delizioso nella sua alternanza di atmosfere intime e slanci emotivi, di tentazioni goticheggianti e di numeri che lambiscono l’ avanguardia, è un vaudeville di brani che trasudano passionalità e tristezza, afflizione e gaudio repentino, sentimenti contrastanti valorizzati da uno squisito piglio attoriale e da inebrianti doti recitative. Co-prodotto dal vate Mike Hedges (The Cure, Siouxsie, Manic Street Preachers, ma anche Dido, Travis e U2), l'album regala alcuni pezzi da brivido entrati a buon diritto tra i classici di Almond, dal delirio espressionista di "Saint Judy" al cabaret mitteleuropeo di "The room below", dal pomposo, toccante dramma di "The hustler" al disimpegno di "Melancholy rose", passando per la fisarmonica ubriaca della title-track e per il flamenco truccato della palpitante, autobiografica, commovente “There is a bed”. Lavoro vibrante ed opera di strabiliante intensità, “Mother fist” è album a tratti eccessivo e ridondante, ma animato da una sincera passionalità che lo rende abbagliante, scintillante, armonioso e splendidamente off. (Manuel Maverna)