PUBLIC IMAGE LIMITED "Album"
(1986 )
Figura di rottura per eccellenza, il signor John Joseph Lydon ebbe il grande merito, all’indomani dell’inevitabile split dei Sex Pistols, di sapersi riedificare una sontuosa carriera rompendo con un passato tanto recente quanto ingombrante. Spiritato e carismatico, polemico ed esasperato, dotato di un vivace intelletto che travalicava l’immagine iconoclasta trasmessa al mondo in quei folli, seminali anni di perdizione, John diede così vita ai Public Image Limited (PiL), da subito veicolo dei virulenti arzigogoli mentali traghettati nel nuovo mondo, epifania di un talento ben più solido e radicato di quanto ipotizzabile a priori. Se gli esordi furono all’insegna di un post-rock raggelante ed oscuro che esasperava la trance emotiva uccidendo l’irruenza del punk, pur sublimandone la nevrosi e trasfigurandone la violenza, in quest’opera della maturità (forse più anagrafica che artistica), sempre avvalendosi dell’apporto ineludibile di un ensemble di musicisti di eccellente livello (in “Album” sfilano Tony Williams e Ginger Baker alle pelli, Ryuichi Sakamoto ai samples, Steve Vai alla chitarra, session men del calibro di Jonas Hellborg e Skopelitis, oltre alla longa manus di Bill Laswell, qui in veste di produttore) e mai rinunciando ad iniettare nella propria musica – tesa ed agonizzante, sospesa tra clangori metallici e suggestioni dub – massicce dosi di psicotica irrequietezza, Lydon e accoliti scolpiscono un sound nitido e squadrato, prettamente affine al linguaggio rock più tradizionale. Il drumming sostenuto dell’iniziale “FFF” fa il paio con le scudisciate di “Fishing” e con la cadenza ossessiva – quest’ultima un leit-motiv stilistico ricorrente – di “Bags”, mentre l’esitazione della ben nota “Rise” crea un clima di attesa che deflagra soltanto nella reiterazione urlata “Anger is an energy”, sputata con furia nell’abituale, stridente registro monocorde del Rotten-che-fu. Commistioni prossime ad una personale, edulcorata rivisitazione di istanze danzerecce propellono il passo rimbombante di “Home” e soprattutto guidano gli otto minuti della conclusiva “Ease” al trionfale solo di Vai che la corrobora e la nobilita, suggellando in un crescendo mirabile un lavoro che, meglio di ogni altro, apre le porte ad un più ampio uditorio. Opera formalmente godibile benchè per nulla rassicurante nè accomodante, “Album” identifica forse il momento di maggiore accessibilità del repertorio PiL, sebbene offra con ghigno beffardo un impasto di tagliente ferocia, piccato disgusto, sarcastico risentimento e sferzante ironia nei confronti dell’umana grettezza, bersaglio prediletto dei venefici strali di un John Lydon all’acme della propria ispirazione. (Manuel Maverna)