FISHBONE "The reality of my surroundings"
(1991 )
Il Crossover è un filone dalle molte sfaccettature. Se i Faith No More si sono sempre proposti come il lato duro e più tipicamente metal del genere, che contribuirà non poco alla nascita del nu-metal, i Fishbone possono essere facilmente inquadrati come l’anima scapestrata e multiforme della scena funk-metal. La loro commistione di chitarre ruvide e sensualità nera assume in lavori come questo una profondità e varietà impressionanti. A livello di importanza storica non si eguagliano i più famosi colleghi losangelini, ma non per carenze tecniche o artistiche, bensì per la complessità della proposta musicale, difficilmente schematizzabile e tutt’ora sbalordente. Questo disco, “The Reality Of My Sorroundings” è forse l’opera perfetta del genere, considerato anche che lavori eccellenti come “Blood Sugar Sex Magic” o “Angel Dust” non avevano la spontaneità esuberante tipica della musica nera (pur rimanendo album lodevoli). La serietà è pari a zero; pezzi come “Fight The Youth”, una sorta di satira nei confronti del metal, suonano con una freschezza eclatante; la fusione di trombe e chitarre rauche raggiunge qui vertici di fruibilità irripetibili. Le canzoni si susseguono senza mai sembrare simili; l’eterogeneità è assoluta. I nostri non si risparmiano nemmeno per ciò che concerne la forma dei brani; si passa infatti da funamboliche filastrocche a ritmo di ska come “If I Were A… I’d” (ripetuta quattro volte) a suadenti e strambe serenate come “So Many Millions”. “Asswhippin” è un semplice ritmo tribale accompagnato da frustate e grida. Ci sono canzoni che definire irripetibili è poco: “Housework” non si ferma un attimo, una folle corsa senza meta, accurata fusione di ritmi sfrenati e carisma strumentale. Cagnare stonate come “Deathmarch”, ipnotici ska-rock come “Behavior Control Technician” (una ventata di aria fresca), punk demenziali come “Pressure” e stranianti trip tropicali come “Junkies Prayer” sono l’essenza del disco, incapace di darsi una forma definitiva e per questo seminale nel panorama musicale mondiale. Le cadenze reggae potenziate di “Pray To The Junkiemaker” ci accompagnano all’anthem impressionistico di “Everyday Sunshine”, tanto gradevole quanto multi etnico. Da non dimenticare poi le splendide digressioni di “Babyhead” e “Those Day are Gone” due delicati abbozzi di cioè che sarebbe potuto seguire e che probabilmente fu la vera morte dei funk metal inteso dai Fishbone. L’equilibrio, musicale e personale, antitesi della loro essenza. “Sunless Saturday” lascia invece spazio a sonorità più fluide e riconoscibili, sempre in modo magistrale. Un disco coraggioso, non facile da metabolizzare, vista la varietà stilistica in cui si muovono i brani e l’originalità delle composizioni. Forse non è conosciuto come altri lavori molto più fortunati del periodo, ma “The Reality Of My Sorroundings” è fondamentale per capire appieno cosa fosse il Crossover. (Fabio Busi)