recensioni dischi
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L'OFFICINA DELLA CAMOMILLA  "Senontipiacefalostesso uno"
   (2013 )

Ci sono molti modi per rappresentare in musica quello che passa fuori dalla propria finestra: si può essere cinici, si può essere epici, si può essere melodrammatici. Ma si può essere anche spensierati, specie se si hanno ventanni, perché a ventanni le cose appaiono con un filtro più morbido rispetto a chi ne ha cinquanta, ma non per questo meno attento o pungente. La spensieratezza è proprio l’arma in più dell’Officina Della Camomilla: dopo centinaia di migliaia di visualizzazioni su Youtube, finalmente arriva l'esordio discografico vero e proprio, che si chiama “Senontipiacefalostesso Uno”, ed è il primo di due volumi che vedranno la luce per la bolognese Garrincha Dischi. Tredici istantanee a formare un quadro più ampio, una tavolozza su cui i nostri riversano colori pastello e riflessioni a trecentosessanta gradi, senza retoriche tronfie o velleità di giudizi universali. Le canzoni possono prendere vita da appunti di appunti, pensieri surreali, allucinazioni modellate, cieli nuvolosi, da ogni piccola sensazione che affiora sottopelle. Così i protagonisti dei brani nascono e si muovono a Milano, perché la finestra da cui L’Officina Della Camomilla guarda il mondo si affaccia sui Navigli, sul Parco Sempione, sull’area C, su Brera, sulle zone militari. Personaggi, veri o immaginari, che non hanno paura di raccontare o di essere raccontati, pedalando in bicicletta prima tra le macchine e poi tra gli alberi, in mezzo a tekno-raver, kebabbari e bar di cinesi. Figure che si incontrano e scivolano veloci come i paesaggi attraverso i finestroni di un tram, le storie di Dora, di Lucilla, Agata e Mohamed, di Moreno, di ragazzi non meglio definiti e quindi di persone che in fondo potremmo essere (stati) noi. Strumenti giocattolo e tastierine mischiate al clapping (“Morte Per Colazione”), chitarre distorte à la Libertines dei tempi d’oro (“Ho Fatto Espolodere Il Mio Condominio Di Merda”), un Alex Turner che preferisce le filastrocche macabre ai muri di suono delle scimmie artiche (“Le Mie Pareti Fluorescenti di Nordafrica”). Favole cattive dove esplodono le scuole e i panifici (“Dai Graffiti Del Mercato Comunale” ed “Agata Brioches”), passaggi meno nervosi che ricordano i migliori The Pains Of Being Pure At Heart, come “Un Fiore Per Coltello” e “La Tua Ragazza Non Ascolta I Beat Happening” (una canzone da stadio sulla droga senza averne assunta alcuna, con la partecipazione de Lo Stato Sociale al gran completo). L’amore-odio per Milano (“Città Mostro Di Vestiti”), le fughe in una spiaggia piena di mattoni e le ritirate verso la più rassicurante IKEA (“La Provincia Non È Bella Da Fotografare”), l’alienazione nei non-luoghi e per i lavori sempre più improbabili (“Lulù Devi Studiare Marc Augè”), giocata su accenni di ninnenanne per non dormire, come direbbe il mai troppo compianto Pier Vittorio Tondelli. E poi, le fascinazioni per l’uptempo (“Agata Brioches” e “Pegaso Disco Bar”) e per il pop più zuccherino, quello che fa innamorare, fatto per celebrare in posti improbabili i ritorni più attesi (“Ti Porterò Sul Braccio Della Ruspa” e “Senontipiacefalostesso”, che chiudono il disco lasciando addosso un senso di inquieta tranquillità). Ci sono molti sentimenti in questo “Senontipiacefalostesso Uno” e sono sentimenti puri, immediati, genuini. Qualità non sempre riscontrabili in un’Italia proverbialmente gerontocratica e maneggiona, oggi come ieri. L’Officina Della Camomilla mette le mani avanti già dal titolo, passeggiando con abilità sul filo che separa la modestia dalla furbata: questo è un disco che farà fatica a non piacere. Farà fatica a non stare al centro dell’attenzione.