recensioni dischi
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DROWN  "Hold on to the hollow"
   (1994 )

Quartetto losangelino che diede alle stampe soltanto due album, il secondo dei quali - a quattro anni di distanza da questo esordio – si rivelò debole ed insignificante al punto da condurre la band allo scioglimento. "Hold on to the hollow" è invece disco di assoluta rilevanza e indubbio spessore, la cui influenza principale va ascritta ai Black Sabbath ed alla scuola metal in genere, sebbene la lezione della premiata ditta Iommi/Osbourne venga qui riletta e filtrata alla luce delle sonorità prevalenti negli anni '90. Grazie anche alla produzione di Dave Ogilvie, la prima sensazione è quella di ascoltare Marilyn Manson (periodo "Antichrist superstar", che tuttavia era ancora di là da venire) o una versione meno violenta – solo sotto l’aspetto psicologico - dei Nine Inch Nails. I brani - che originano un disco a tema sulla tormentata fine di un amore - presentano tutti la medesima struttura: intro per campionamenti elettronici, strofa rabbiosa in crescendo, chorus deflagrante con un chitarrismo iperdistorto a saturare atmosfere opprimenti, sventrate soltanto dalle grida parossistiche del cantante Lauren Bouquette. I primi tre pezzi ("I owe you", l'odio viscerale di "Beautiful", e soprattutto il tritacarne impazzito di "Pieces of man" che ricorda i Ministry), autentiche stilettate assassine, fanno a brandelli il dolore della sconfitta personale tramite il ricorso ad una rabbia inusitata, sputata addosso al mondo con ferocia belluina; è una discesa continua che si placa per pochi minuti solo nella sospensione di "Longing", per riprendere poi con indicibile brutalità fino all'epilogo suicida di "Everything", harakiri di intensità emotiva quasi insopportabile nel suo incedere distruttivo. Album mortifero, soffocante come una stanza buia senza porte nè finestre. (Manuel Maverna)